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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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In direzione opposta, estratto.

di alessandro venuto
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Pubblicato il 23/05/2020 13:23:21

Sharon si mise a studiare l’arte dell’Ikebana, arricchendo la comunità di composizioni floreali grazie a quello che riusciva a far sbocciare nella sua rinata serra. Nelle lunghe serate di inverno, dopo le lezioni di danza con Tony, saliva in biblioteca con Stephen e condivideva con lui il tempo della lettura e dello studio. Spesso, prima di immergersi a sua volta in qualche libro, amava infastidirlo prendendo dei volumi a caso e declamandone ad alta voce alta alcune pagine.
In quelle occasioni Stephen si limitava ad alzare appena gli occhi dalla scrivania e a sbuffare, ormai abituato alle incursioni della compagna. Una sera però accadde qualcosa di speciale.
Sharon era salita con il panda Emanuele in biblioteca e, mentre il ragazzo si era messo a disegnare degli schizzi per una mostra che, in accordo con il suo care Massimiliano, avrebbe tenuto nell’atelier della Dioniso a dicembre, si era come sempre cimentata nella raffinata arte di disturbare Stephen che provava a leggere.
Prese un piccolo volume giallino e, senza nemmeno guardare il titolo, proclamò a gran voce:
‘Gli altri esseri umani li trovai nella direzione opposta in quanto non andai più..’
Si fermò un momento mentre qualcosa di caldo le scattava dentro.
Riprese a leggere, questa volta a bassa voce.
‘Per anni e anni avevo passato la mia esistenza tra i libri e le cose scritte.. ma adesso esistevo nel presente e mi immergevo in tutti i suoi odori e gradi di difficoltà.’
‘Beh, che succede? Ti sei mangiata la lingua?’
Stephen la fissava, stupito per quel silenzio inaspettato.
‘No, è che forse.. penso di aver trovato qualcosa.’
Sharon si avvicinò a una delle scrivanie libere e, dopo aver accesso la lampada, sedette senza staccare gli occhi dalle pagine ingiallite del libriccino.
Mentre scorreva veloce le parole sentiva dentro di sé una commozione profonda come se l’autore di quel testo, tale Bernhard, stesse parlando direttamente a lei, in quel momento, in un modo in cui nessun altro le aveva mai parlato prima di allora.
‘Volevo andare nella direzione opposta, questa nozione, andare nella direzione opposta, me l’ero ripetuta di continuo ad alta voce..
Volevo andare non soltanto in una direzione diversa, ma proprio nella direzione opposta.’
Esatto. Questa era lei.
Questa era sempre stata lei, fin da quando aveva memoria di sé. Si era sempre sentita scomoda ovunque e non aveva mai potuto aderire a qualche ideale, a un movimento di gruppo, a una cultura di appartenenza particolare. Si considerava apolide e rifiutava ogni tipo di opinione perché pensava che l’unica coerenza possibile con sé stessi fosse l’incoerenza più assoluta, sempre in cerca di una prossima ex verità da confutare. Amava il dubbio più delle certezze e godeva profondamente della sensazione selvaggia di sentirsi l’unica viandante sul sentiero che aveva scelto per la propria vita. E adesso sapeva che si era sempre mossa nella direzione opposta, non in una contraria o diversa ma proprio opposta.
Opposta a tutto e a tutti.
Opposta persino a sé stessa, in certi momenti, quando sarebbe stato più comodo arrendersi e omologarsi.
E adesso sentiva con forza che, così come quel giro che aveva iniziato molti anni prima muovendosi nella direzione opposta l’aveva allontanata da sé, a sé l’avrebbe riportata infine una volta completato.
Sharon si immerse profondamente nella lettura e tutto sembrò sparire intorno a lei.
Non si accorse di quando Emanuele, sbadigliando rumorosamente, si alzò facendo cadere la sedia e, senza raccoglierla, uscì dalla biblioteca seguito dalle maledizioni di Stephen e solo a malapena e di malavoglia rispose al compagno quando questi la informò che stava andando a letto e quindi le avrebbe lasciato le chiavi per chiudere la biblioteca.
Sharon si limitò a un cenno distratto mentre Bernhard narrava e si raccontava, spiegava e incantava, guidandola come il Pifferaio magico per le vie di Salisburgo attraverso quel suo particolare stargate creato dalla Cantina.
‘Il quartiere di Scherzhauserfeld era l’estremo punto di questa direzione opposta e io ho deciso di assumere quel punto estremo come la mia meta.’
Non era forse stata per lei la Dioniso, il suo punto estremo? Non era questa la meta che corrispondeva nello stesso tempo all’inizio e alla fine del suo viaggio fuori dalla dipendenza?
Pensò alla forza delle carpe koi che risalgono la corrente dei fiumi, caparbie e tenaci, fino alla sorgente e che, una volta arrivate alla meta, si trasformano in draghi. La fine della carpa è solo l’inizio del drago, meta e partenza si equivalgono e ciò che conta è il viaggio che porta da un punto all’altro dei propri desideri.
‘Qui potevo essere me stesso. E tutti gli altri potevano essere se stessi. Qui le persone non venivano strette di continuo, e in una maniera sempre più raffinata, in una morsa di artificiosa esteriorità..
Si poteva non solo pensare quello che si voleva, si poteva anche esprimere quello che si era pensato, ciascuno quando e come voleva, a voce più o meno alta.’
Sharon sentì un nodo alla gola mentre ripensava con gratitudine a Nicole e a tutti gli operatori della Dioniso, agli specialisti, a Raphael e ai compagni di percorso che aveva incontrato nel tempo; ciascuno di loro le aveva donato qualcosa con generosità e altruismo, persino Alessia, ed era grazie a loro se adesso iniziava a intravedere ciò che sarebbe potuta essere. Le venne in mente la storia di quel negriero che, dopo una vita passata a catturare schiavi neri in Africa da deportare nei campi di cotone in America, era quasi morto durante una tempesta che aveva sorpreso la sua nave affondandola. Disperato, quasi annegato, era riuscito a toccare terra in qualche modo e, come San Paolo sulla via di Damasco, aveva rivisto alla luce dei fulmini ai quali era sopravvissuto quello che era stata la sua vita e, provandone disgusto, l’aveva cambiata diventando un difensore per i diritti civili e battendosi contro la schiavitù. Ma, prima di tutto questo, aveva composto un inno meraviglioso alla grazia divina, Amazing Grace. A volte è necessario che una tempesta ci lasci quasi morti perché si possa volere a tutti i costi vivere, si disse.
E aveva anche pensato a quello che le aveva raccontato Raphael un pomeriggio quando, vedendola piangere in giardino, le si era accostato per poche parole gentili.
‘Vedi, Sharon, non ho molto da dirti in questo momento ma posso donarti un racconto al quale tengo molto, se me lo permetterai.
Vedi, si dice che Michelangelo, lo scultore, andasse a scegliere personalmente nelle cave i blocchi di pietra da intagliare per le sue opere meravigliose. Un giorno si diresse quindi alla cava come suo solito e decise di prendere per il suo atelier un enorme masso, uno tra i molti che aveva guardato quel giorno e fu da quella massa informe che tirò fuori la sua Pietà. Ebbene, si racconta che uno dei suoi discepoli gli abbia chiesto: Maestro, perché ha scelto proprio quel blocco di pietra tra tutti quelli che c’erano? E sai cosa ha risposto Michelangelo?
Che la Pietà era già presente in quel blocco, doveva solo limitarsi a farla emergere. Capisci il punto, Sharon? Tu non sei nata malata e dentro di te c’è un essere speciale che aspetta il suo momento per emergere, sta lottando per venire fuori da tutta la massa informe di cose che ci hai buttato sopra. Ma è lì e vive e scalpita mentre aspetta di essere liberato. Devi solo trovare la tua forma d’arte.’
La sua forma d’arte, esatto. Ma quale fosse quest’arte Sharon proprio non lo sapeva.
Stephen ad esempio aveva trovato la lettura e la boxe, ma lei?
Forse la risposta sarebbe arrivata nelle pagine a seguire.
‘Al culmine della disperazione e del disgusto ero andato istintivamente, anzi, ero corso nella direzione opposta, finalmente ero scappato via dalla direzione sbagliata e di corsa ero andato nella direzione giusta. Ed ero scappato via da tutto quello a cui ero legato (..) ed ero scappato via da tutta la mia confusa storia personale mentre fuggivo dalla storia intera.’
A un tratto le fu tutto chiaro.
Tutto quello che aveva fatto, tutto ciò che era stata fino a quel momento faceva parte di lei, tutti gli errori e gli sbagli e la sofferenza l’avevano forgiata fin nel profondo ed era tempo di accogliere tutto ciò che di sé aveva sempre rifuggito perché, se fosse tornata indietro, a parità di condizioni avrebbe rifatto esattamente le stesse cose. Per la prima volta nella sua vita sentì il senso di colpa sciogliersi e svanire mentre qualcosa in lei si ricostruiva. Forse qualcosa si è salvato, forse davvero non è stato poi tutto sbagliato. Forse era giusto così, cantò Vasco nella sua testa.
Forse ma forse ma si.
Nel punto più lontano da sé era arrivata al punto più vicino a sé ed era adesso o mai più il momento del contatto per non essere nuovamente sparata in orbita, via lontano e forse per sempre.
Avrebbe voluto piangere, ridere e urlare nello stesso tempo.
‘Ero arrivato nel momento giusto dalle persone giuste. Avevo puntato su un’unica carta e avevo avuto fortuna.’
Terminò il libro nel silenzio della Dioniso avvolta dalle braccia di Morfeo ma Sharon quella notte non dormì, arsa viva da un fuoco interiore che la bruciava di un godimento profondo come solo l’eroina aveva saputo darle.
Era un tipo di piacere che non aveva forma né precedenti, non dipendeva dal sesso o da qualche tipo di sostanza: li ricordava entrambi ma ne era del tutto differente.
Dentro di lei l’anima cantava.
‘Crederei solo a un dio che sapesse danzare’, aveva letto da qualche parte.
Distesa sotto le coperte nella stanza buia che adesso condivideva con Liz vedeva dietro le palpebre chiuse un mondo infinito di possibilità esattamente come le aveva predetto Nicole.
Poteva fare qualsiasi cosa, poteva essere qualsiasi cosa, dipendeva solo da lei.

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