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Cholula

di alessandro venuto
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Pubblicato il 21/05/2020 09:14:33

La morte, per un bambino, è quasi sempre preceduta da attimi di intenso stupore. O almeno così si dice. Ed erano stati davvero giorni di stupore, quelli in cui gli uomini della terra e del cielo avevano incontrato i loro dei.

Una tiepida alba illuminava quel giorno i tetti delle case e la grande piramide a gradoni, ma ben pochi furono quelli che si lasciarono sorprendere ancora nei loro letti. I primi raggi di un sole ancora timido rilucevano sulle ardite costruzioni che l’uomo aveva innalzato verso il cielo come simbolo di grandezza e prosperità e che ora invece ospitavano chi portava in sé i semi del rinnovamento, come piccole gemme in attesa sotto la morbida terra che finisca il freddo inverno. Nelle vie della città così come nel grande viale che la tagliava in due come un immenso fiume di pietra tutto era in fermento e centinaia di persone brulicavano indaffarate muovendosi nell’aria frizzante del primo mattino, in un tripudio di colori. Dipinti erano i corpi muscolosi e i volti degli uomini, variopinte le vesti delle donne, multicolori le penne ornamentali sui dignitari di corte e sui sacerdoti. Giovani donne dai lunghi capelli neri e lucidi come seta provavano in gruppetti danze rituali, sgargianti nei loro vestiti colorati che le rendevano simili a bellissimi fiori: melodiose voci si alzavano in coro, modulando suoni che nessun uomo prima della Grande Distruzione aveva mai sentito. Cantavano lodi alla terra, all’aria, all’acqua e agli dei e nei movimenti circolari della danza omaggiavano e mostravano l’eterno ritorno di tutte le cose. La conoscenza è un movimento circolare, come ogni cosa in Natura

Un meraviglioso spettacolo di luci portava l’alba in trionfo sulla notte della Sierra, come gli uomini avevano chiamato le grandiose montagne che tanto ricordavano quelle lasciate nella lontana Spagna, in un altro mondo.

Una ventina di uomini scivolò fuori in silenzio, avvolti in mantelli spessi che nascondevano i volti sotto scuri cappucci. Tra le pieghe della stoffa brillavano poderose armature. Dieci di loro montarono a cavallo e, con le armi in pugno, si disposero in posizione intorno agli altri quindi si misero tutti in marcia, simili a un gregge accompagnato dai cani pastore. Seguivano a ruota centinaia di indigeni, mercenari affamati e desiderosi di azzannare le carni di chi per anni li aveva obbligati a fornire i loro stessi figli come tributi agli dei.

Un’esplosione improvvisa di movimento fece scattare le Guardie che puntarono all’unisono i fucili verso la foresta generosa, dalla quale emersero in volo alcuni stupendi pappagalli che fecero alzare agli uomini lo sguardo verso il cielo: striature di violetto, rosa e arancio tingevano l’aria mentre gli uccelli simili a rapidi velieri facevano rotta verso l’orizzonte. Un sole fiero sorgeva in quel momento sull’immensa foresta della sierra che, simile a un placido mare verdeggiante, salutava il nuovo giorno con il canto ritmato delle infinite creature che la abitavano. A differenza degli spagnoli, mossi tutt’al più da una breve curiosità, gli indigeni totomachi non mostravano di temere il mondo fuori dalle mura con tutti i suoi pericoli e si muovevano liberamente e agilmente nella foresta, seguendo sentieri che erano mappati solo nelle loro menti

Negli ultimi giorni gli uomini avevano dormito nella vicina Tlaxcala, ultima roccaforte amica, e adesso proseguivano arditi in un viaggio quasi senza speranza, folle, guidati da un uomo che un giorno aveva sognato di conquistare un impero. Nelle grandi case in pietra avevano meditato sotto un cielo pieno di stelle purificandosi in previsione della cerimonia finchè il sonno non aveva avuto la meglio sui loro sogni di gloria. Per uno di loro l’alba avrebbe portato con sé un giorno che avrebbe ricordato per tutta la vita, per altri invece avrebbe potuto essere l’ultimo considerando il tratto di strada da fare a piedi e tutto ciò che poteva accadere potendo contare solo su dieci cannoni, tredici archibugi, trenta balestre e sedici cavalli. Stretto al caldo corpo della sua donna nahua l’uomo meditava e sentiva il sacro fuoco del suo progetto ardere e consumarlo. Lontana, lontana era la Spagna e i suoi re, lontana la Sierra Nevada, Medellin e Granada, Carlo V era solo un nome e persino Dio era uno sconosciuto da queste parti. Lui e quel corpo caldo di donna straniera erano la sola cosa concreta che conosceva in quel momento. Se non ci fosse riuscito, sarebbero morti tutti. Fine della storia. Eppure lui credeva che un mondo migliore, non solo nuovo, fosse possibile. Aveva assistito alla brutalità della sua gente, alla cupidigia con cui uccidevano gli uomini vendendo Dio per averne le ricchezze, alle loro menzogne. Era tutto da rifare, lo sapeva bene, ma serviva un’altra terra ancora, una dove le barbarie dei conquistadores non fossero ancora arrivate. Lui lo aveva già dimostrato, conquistandosi il favore degli indigeni con la parola e con la diplomazia invece che con le armi. Il suo progetto di un mondo dove indigeni e spagnoli potessero vivere insieme sotto la bandiera del re Carlo V e le benedizioni di Gesù Cristo nostro Signore era ormai a portata di mano, una società dove il sangue e le culture potessero mescolarsi creando una nuova armonia.

Tutto ciò che aveva visto da allora era stato di una tale bellezza..

Persino Tlaxcala o, come la chiamavano gli Indios, Texcala, la grande città che li ospitava, era ‘degna di tale ammirazione che io non posso parlarne’, scriveva al re di Spagna, ‘e il poco che posso dire suona già come incredibile. E’ una città più grande di Granada, più forte e più popolata. Rigurgita di prodotti della terra, possiede un mercato fiorente e frequentato ogni giorno da almeno trentamila persone. Ci si vende qualsiasi cosa. Questa gente ha un grande senso dell’ordine e della vita civile. E’ un popolo dotato di ragione e di saggezza.’

Cortes amava quella gente e se ne stupiva ogni giorno. Malinche, anzi, Marina, si agitò nel sonno e, quando la strinse a sé nel buio, si calmò. Regalata come schiava agli spagnoli, si stava dimostrando la chiave che avrebbe aperto loro le porte dell’impero.

Ma in quella notte di Tlaxcala il cielo era ancora scuro per Cortes: non riusciva davvero a capire il gioco di Montezuma che inviava doni e nello stesso tempo si rifiutava di incontrarlo, pregando anzi tutti gli spagnoli di abbandonare immediatamente il regno azteco, per poi infine invitarli tutti ad attendere sue istruzioni presso la città di Cholula, in teoria alleata di Tlaxcala e nemica dello stesso imperatore. Avrebbe dovuto giocare su più piani, come sempre. Ed era bravo a farlo.

Tototl e Ikschel correvano veloci per le vie tortuose della città in pietra, cercando un varco tra la folla che lentamente riempiva il grande viale. Svettava, in fondo, la piramide dove i sacerdoti avevano già iniziato a sacrificare al dio Quetzalcoatl. Nonostante fossero solo due bambini erano già stati iniziati ai riti sacri come ogni azteco e avevano visto strappare il cuore dal petto a innumerevoli persone, spesso loro coetanei, vibrando di commozione nella folla e dedicando grandi pensieri semplici ai loro dei come ogni bambino sa fare. Tototl ogni volta dedicava quei sacrifici per i commerci del padre e per la salute della madre nonché per il benessere del loro grande impero azteco. L’idea che avrebbe potuto anche esserci lui sul tavolo sacrificale non lo aveva mai sfiorato.

Donne e bambini avevano avuto l’ordine di evacuare la città prima che loro arrivassero, e loro erano ormai a poche marce dalle porte della città. Ma un bambino poteva davvero scappare sui monti invece di assistere a un incontro che avrebbe per sempre rivoluzionato la storia della sua gente? Loro stavano arrivando, per la prima volta dall’inizio del tempo. E lui, Tototl, non se lo sarebbe mai perso. La sua amica del cuore, vincolata a lui da un giuramento sacro, sarebbe rimasta al suo fianco. Dovevano solo trovare un buon punto di osservazione, nascondersi per bene e aspettare. Ci sarebbe stato tutto il tempo per raggiungere le donne sui monti anche dopo.

Gli uomini e le Guardie presero la grande via che portava alla città, prestando grande attenzione nonostante tutto sembrasse immobile e regnasse il silenzio.

Si sentivano come una barca che, dopo aver lasciato il porto, punta decisa verso il mare aperto mentre la costa diventa sempre più lontana, sempre più sottile fino a scomparire del tutto: ogni riferimento è allora annullato e ovunque è l’Ignoto.

I passi risuonavano sull’antico selciato ancora umido mentre numerosi versi di uccelli riempivano l’aria del mattino.

Nonostante la tensione, il morale degli uomini era alto e si guardavano intorno a occhi spalancati, come turisti: nessun uomo bianco aveva mai posato sugli occhi sulle mura di pietra che si stagliavano davanti a loro a protezione dell’immensa città. Ovunque intorno a loro la terra era stata coltivata senza lasciare libero nemmeno un metro in modo così preciso da far risaltare l’opera di una cultura avanzata e intelligente.

Ed ecco che, a un tratto, uno stormo di uccelli si alzò in volo e, seguendone la traiettoria, gli spagnoli ammutolirono improvvisamente quando, alzando lo sguardo oltre le mura, videro scintillare nel cielo terso del mattino la grande piramide di Cholula

Era uno spettacolo che toglieva il fiato e puntava come un dito verso il cielo.

Bellezza. Tutto in quel luogo emanava bellezza, in armonia con una saggezza antica e quotidianamente rinnovata.

Il viaggio stava per terminare, mentre quel giorno glorioso era solo all’inizio.

II

Un corteo festoso venne loro incontro: bellissime ragazze avanzavano danzando in ampi vesti multicolori reggendo corone di fiori, seguite da alcuni musicisti e da uomini imponenti che dovevano essere dignitari di corte e notabili. Gli spagnoli rimasero immobili, colmi di stupore, mentre abbassavano i fucili. Le giovani cantavano con voci di usignolo, producendosi in ampi sorrisi e incantando i nuovi arrivati con sinuosi gesti delle braccia nude e degli esili corpi, ammiccando loro con occhi luminosi e sottili.

Coroncine di alloro adornavano le loro teste mentre lunghi capelli corvini lucidi come seta scendevano liberi sulle spalle, coronando volti gentili e decorati con piccoli tratti di pittura che ne esaltava i bei lineamenti.

Dietro di loro uscirono in ordine circa ventimila persone poi, come era iniziata, la musica cessò. I due gruppi di uomini si fissarono a lungo, poi alcuni sacerdoti ordinarono a strumenti simili a gong di risuonare nel silenzio. Il cielo era terso sopra le loro teste, fresca e pulita l’aria. Da qualche parte nella folla presero a suonare dei flauti, quindi le danze ripresero anche più frenetiche di prima. Cortes guardò per un attimo Marina che ricambiò in un modo che voleva dire ‘è tutto ok, si fa così’. La musica dei flauti era festosa e veloce, capace di riempire il cuore di un uomo di gioia e malinconia a un tempo e si profondeva nell’aria tiepida come una pioggia di benedizioni, invogliando la vita al risveglio.

I due gruppi entrarono in contatto e si fusero, quindi le ragazze azteche o Mexica, come amavano chiamarsi, adornarono gli uomini con una corona di fiori ciascuno, salutandoli in segno di omaggio congiungendo le mani all’altezza del petto e producendosi in un inchino lezioso.

Ogni danzatrice prese sottobraccio un uomo e il corteo riprese la via delle mura.

Quando gli uomini varcarono il portale di ingresso videro qualcosa che andava al di là di ogni più fervida immaginazione: centinaia di migliaia di aztechi erano assiepati ai due lati di un viale immenso che culminava alla base della grande piramide, formando un caleidoscopio di forme e colori in movimento.

La strada era ricoperta di petali di fiori rossi e gialli che rendevano morbido il passo e altri petali e venivano lanciati verso di loro, mentre gli aztechi danzavano e ondeggiavano come onde del mare vestiti di morbide tuniche dai colori accesi accogliendo gli uomini in trionfo che salutavano timidamente con la mano e che si guardavano intorno con occhi pieni di meraviglia e stupore, aggrappandosi alle giovani accompagnatrici in cerca di supporto. Se la filosofia, come diceva Platone, nasceva dalla meraviglia, molta saggezza sarebbe sorta quel giorno.

Quando gli spagnoli, accerchiati dalla folla festante, furono entrati a Cholula, accadde qualcosa che turbò non poco Cortes: i guerrieri nahua ordinarono ai suoi uomini totomachi di non entrare in città ma di accamparsi fuori, in attesa di sviluppi. Con un cenno del capo, Cortes fece capire al capo del suo reparto indigeno di accettare l’ordine ma dentro di sé già elaborava possibili contromisure.

Tototl e Ikschel guardavano avanzare gli dei stranieri a bocca aperta per motivi diversi. Il bambino non riusciva a staccare gli occhi dalle armature che riflettevano trasformavano in lampi di luce bronzea i raggi del dio Sole ed era come ipnotizzato dagli enormi animali che alcuni di loro cavalcavano, senza paura e con una sicurezza che gli invidiava profondamente. Cosa non avrebbe dato per poterci fare un giro anche lui! E chissà come l’avrebbe guardato la sua amichetta Ikschel.. già si vedeva correre su uno di quei mostri in sua difesa mentre lei era assediata da guerrieri nemici e, dopo essersi fatto largo tra loro facendone strage, l’avrebbe caricata davanti a sé e sarebbero corsi via veloci come Vento Notturno, via lontano incontro alla sera. Ikschel era affascinata dalle lunghe barbe e dai capelli color del grano di alcuni tra gli dei, nonché dalla pelle chiara. E che dire del vestito che sfoggiava l’emissaria, sicuramente una donna nahua?

Ma non era tempo di ulteriori sogni ad occhi aperti perché il corteo avanzava verso la fine del viale e i due bimbi sapevano di dover correre se non volevano perdersi il resto dello spettacolo.

Sul fondo della piazza, davanti all’enorme piramide, si ergeva un trono in legno dorato dallo schienale finemente decorato e circondato dalla folla, al quale si accedeva con una scaletta posta sul lato sinistro. Un uomo vi era seduto sopra, riccamente vestito e col capo incoronato di lunghe piume di ara multicolori.

Improvvisamente ovunque scese il silenzio in un’atmosfera carica di energia e aspettative mentre il Grande Oratore del popolo fissava gli spagnoli. I suoi occhi che molto avevano veduto si fermarono soprattutto sul loro capo, un uomo alto dalla lunga barba scura, e su quella che sembrava essere la sua emissaria, o persino la sua donna, una creatura di rara bellezza ma dallo sguardo troppo acuto per essere affidabile.

Quando parlò, la sua voce si levò tonante nel silenzio sceso sull’Unico Mondo, come chiamavano la loro terra.

‘In nome di Quetzalcoatl, espressione dell’energia della Saggezza illuminata che incontra il Metodo e mostra la Via agli esseri e in nome del suo Popolo, vi porgo il più caloroso benvenuto tra noi. Avete compiuto un viaggio pericoloso per essere qui oggi e ve ne siamo profondamente grati’.

Il re tese una mano aperta e col palmo verso l’alto in direzione degli uomini, abbassando appena il capo in segno di umiltà: qualunque gesto compisse, sul volto danzava una luce profonda e sottile che si evinceva da un sorriso sempre presente e da quello sguardo continuamente divertito. La sua sola presenza catalizzava naturalmente ogni attenzione, come un potente magnete umano dotato di una qualche misteriosa energia.

Marina traduceva veloce in lingua maya allo spagnolo Aguilar, che per qualche tempo aveva vissuto tra quella gente, il quale a sua volta trasponeva quanto detto nella lingua degli stranieri.

‘Sia benedetto questo giorno in nome della Nostra Signora e di Nostro Signore, godrete dell’ospitalità del nostro popolo per i giorni a venire

‘Sia benedetto questo giorno,

Giorno di nozze della Dea e il Dio.’

Gli uomini si guardavano intorno a occhi pieni: tra gli indios erano molti ad avere i volti rigati da lacrime di commozione, mentre alcuni ad occhi chiusi dondolavano appena come rapiti in estasi o dalle ali di una preghiera profonda. La maggior parte di loro si teneva per mano formando una sorta di catena umana e si muoveva all’unisono nel silenzio del mattino, che adesso profumava di incenso ed erbe aromatiche. Sia gli uomini che le danzatrici presenti avevano strisce ornamentali di colore sul viso, sul petto e sulle gambe.

Il re chiuse gli occhi per alcuni istanti poi li aperse nuovamente e, fissandoli sugli uomini, disse con un tono ritmato:

‘Tutti gli animali si accoppiano e le piante sono impollinate,

Cosí la Madre compassionevole e il Re Padre conferiscano all’uomo

la loro benedizione sulla Terra e sul suo animo

e su tutte le creature della Terra.

Io che sono loro figlio

gioisco con loro e chiedo che

La nostra unione felice diventi l’esempio

per tutte le creature affinchè possano

vivere in amore e armonia.’

Congiunse le mani al petto e così fecero le centinaia di uomini presenti, mentre il clima di commozione generale sembrava crescere a dismisura nella folla fremente: solo gli spagnoli restavano immobili e tesi, ancora incerti sul da farsi.

Quando il Grande Oratore si alzò in piedi il silenzio generale fu travolto dalla ripresa di canti e danze, musica e urla, mentre le danzatrici conducevano il gruppo di stranieri verso la loro nuova dimora e la folla su apriva per farli passare.

‘Quanta bellezza può contenere un’anima senza disintegrarsi? Quanta meraviglia? Dio guida i miei passi con mano sicura, affinchè io non mi sbagli. Dio ascoltami, Dio del cielo e della terra, Dio degli uomini, ascolta la mia supplica perché io che ho molto peccato adesso ho molto potere. Guida i miei passi con mano sicura, affinchè lo usi con saggezza. Qui si fa la storia.

Quanto amore può contenere un cuore confuso? Perché amo questa gente e desidero fondermi con loro secondo i Tuoi insegnamenti.’ Cortes guardava lontano sulla grande terrazza della casa che li ospitava, assorto e pensieroso.

I primi giorni presso Cholula furono un susseguirsi di sorprese per Cortes e per i suoi uomini. Furono accompagnati da dignitari e uomini della corte per le vie della città e per giardini lussureggianti bagnati in abbondanza da canali artificiali. Ovunque posassero gli occhi era abbondanza di ogni cosa: acqua, colori, luce, piante, animali e vita. Giovani cervi si aggiravano liberi nelle corti dei nobili e si lasciavano accarezzare come docili cani, mentre pappagalli multicolori volavano ovunque nelle case. Piante, fiori e alberi si mescolavano alla pietra delle abitazioni creando un insieme biotecnologico del tutto nuovo agli spagnoli. Nessun Dio aveva creato l’uomo padrone del mondo, ma molti dei lo volevano inserito nell’ordine naturale delle cose. A destra della Grande Piramide, che come una torre di pietra lanciata nello spazio stava a significare come solo la conoscenza posata sulle solide fondamenta della Terra sia in grado di squarciare il velo dell’ignoranza, si apriva un sentiero che i Mexica avevano lastricato in pietra e che scendeva verso il Parco dei Cervi, un ampio bosco che ospitava al centro un ampia radura. Giovani guerrieri si allenavano nell’arte della guerra con diversi strumenti tradizionali.

Snelli per natura, avevano corpi definiti e agili che rilucevano di sudore sotto i primi raggi del mattino mentre lentamente compivano movimenti nei quali ricercavano la perfezione dello stile e uno stile che li portasse alla perfezione. A torso nudo, portavano solo morbide gonne di cotone bianco che copriva le gambe fino alle caviglie e ai piedi morbidi sandali in cuoio.

Un gruppo si esercitava con grande attenzione nell’arte della spada, compiendo ampi e calcolati gesti dove ogni millimetro era frutto di una grande perizia; poco distante, altri guerrieri tendevano grandi archi in morbido legno fissando bersagli lontani decine di metri e, dopo aver meditato sul respiro, rilasciavano infine la corda che dava vita a una rapida freccia sibilante nell’aria tersa.

L’arciere assorbiva con attenzione la traiettoria che essa compiva e sembrava arrivare al bersaglio a sua volta, gustandolo immobile e assorto. Solo dopo un po’ di tempo, quasi tornando a sé stesso, scioglieva quella posizione elegante che ne aveva fatto da un corpo di carne e sangue una statua di pietra levigata e con calma, agganciando il respiro a ogni passo, si dirigeva a riprendere il proprio dardo. Altri uomini lottavano con la spada o col giavellotto corto mostrando una perizia che nulla aveva da invidiare agli occidentali. Guerrieri temibili e temuti, si preparavano per quelle che definivano Guerre Fiorite, combattute non per territori o sete di potere ma per bagnare di sangue la terra e le loro Piramidi in onore agli Dei affinchè garantissero il normale svolgimento della vita sul pianeta.

Ogni aspetto della vita a Cholula fu come un sogno per gli spagnoli dove niente era conosciuto, cibo compreso: ogni frutto, ogni pezzo di carne era qualcosa di mai sperimentato prima. Ma, come ogni sogno, era destinato a finire.

III

Com’è difficile dormire quando sembra di vivere in un sogno! I due bambini, stretti uno all’altro, provavano a lasciarsi scivolare nel sonno sotto la luna piena di quelle notti incredibili con grande fatica. Incuranti delle loro famiglie che probabilmente li stavano cercando, avevano seguito gli spagnoli in tutto quel vagare per la città, non meno ammirati di loro. Quando guardi quello che già conosci con gli occhi di chi non lo ha mai visto, partecipi del suo stupore. Soprattutto se sei un bambino. Eppure, come sembravano bambini quegli uomini dalle lunghe barbe che si lasciavano guidare timidamente per le strade dell’Unico Mondo..

Durante la sera, dopo aver consumato un pasto veloce gentilmente donato loro da qualche negoziante, Tototl e Ikschel avevano giocato impersonificando i loro eroi: lui era il grande Cortes dalla spada del Dio della Guerra, lei la bella Malitzin, dolce amante oratrice, che combattevano con le armi e con la parola contro i malvagi aztechi di Tenochtitlan per la gloria di Cholula.

Una mattina però, mentre stavano camminando a passo svelto in direzione del palazzo dove erano ospitati gli spagnoli, sentirono il Dio del Tuono squarciare l’aria con una potenza tale da farli accucciare istintivamente al suolo. Tototl guardò la piccola Ikschel e lesse nei suoi occhi la stessa paura che doveva albergare nei suoi.

La bambina era sbiancata in volto e Totol istintivamente le prese la mano, guidandola poi deciso verso la loro meta ma, non appena svoltarono nella piazza sulla quale si affacciava la residenza spagnola, dovettero riparare nuovamente nel vicolo.

Quello che videro sembrò squarciare come un lampo la realtà che fino ad allora avevano conosciuto. Ci sono cose che un bambino non dovrebbe vedere. La casa in pietra vomitò a un tratto nugoli di spagnoli inferociti che, armi in pugno, si gettarono sulla folla di guerrieri assiepata intorno alla piazza. I primi indios cadono senza un grido irrigando di rosso sangue la pavimentazione di pietra ma un attimo dopo gli altri sfoderano le armi e si lanciano con urla selvagge sugli stranieri. Il dio Cortes, fino al giorno prima luminoso nella sua armatura di sole, sembrava adesso un demone tremendo mentre affondava la sua spada nelle carni degli avversari lasciandone diversi al suolo. Gli occhi di Tototl sembravano troppo piccoli per contenere tutto quell’orrore mentre Ikschel li aveva coperti con la mano, incapace di guardare ancora. A pochi passi da loro uno spagnolo recise con un colpo deciso di spada la testa di un giovane guerriero, il cui corpo si riversò a terra versando sangue come una giara rovesciata. Il denso liquido scuro arrivò fin quasi a lambire i piedi dei due bambini e fu a quel punto che Tototl decise di portare via la sua piccola amica.

Strattonandola per la mano corse veloce con il cuore che sembrava impazzire nel petto, incurante di dove stessero davvero andando a patto che fosse lontano da quell’inferno. Svoltarono più volte a destra e a sinistra in quel dedalo di vicoli di pietra tra le case di Cholula mentre i suoni della battaglia si allontanavano sempre di più alle loro spalle. Tototl capì che dovevano lasciare la città perché, qualunque cosa sarebbe seguita a quel massacro, non sarebbe stata buona. Ed era responsabile anche di Ikschel, rimasta in città solo per lui e per quella stupida promessa. Come due piccoli pesci di fiume che si gettano in un lago dopo aver seguito la corrente di un ruscello, raggiunsero veloci il Grande Viale correndo verso le porte della città. Ma come quando il grande fiume, gonfio per le piogge della stagione in cui tutto è acqua, rompe gli argini e allaga tutta la terra circostante distruggendo ogni cosa al suo passaggio, allo stesso modo una marea di guerrieri selvaggi irruppe urlando da quello che restava delle porte tra le mura di Cholula, abbattendo qualunque uomo si trovasse sul loro percorso. Tototl capì in un attimo che si trattava delle truppe di cani traditori totonachi, rimaste fuori dalla città in attesa di ordini dagli spagnoli. Agili come gatti i due bambini girarono su loro stessi e corsero con tutto il fiato che avevano in direzione opposta, verso la grande piramide che assisteva, impotente, allo scempio della città e del suo popolo.

Un giavellotto fischiò poco distante dalla testa di Tototl e poi picchiò sulla pietra della Grande Via scivolando lontano, mentre la Guardia della città accorreva dalle strade laterali per creare un solido muro sul quale avrebbero dovuto impattare, come il fiume su una diga, gli assalitori. Ma fu chiaro fin da subito che gli uomini di Cholula erano davvero troppo pochi per avere qualche speranza di vincere contro i totonachi. Avrebbero, forse, potuto ritardare un po’ l’inevitabile per permettere a chi fosse rimasto in città di mettersi in salvo. Forse.

I due bambini si infilarono in una grande casa dal portone aperto e salirono veloci le scale che portavano alla terrazza, meravigliosamente ornata da un giardino pensile. Tra alberi e fiori variopinti scorreva, in un canale artificiale, un ruscello di limpida acqua corrente. Tototl e Ikschel raggiunsero il parapetto della terrazza giusto in tempo per vedere l’orda di guerrieri stranieri impattare con violenza sul piccolo esercito di Cholula. Le urla degli uomini che combattevano si mescolarono a quelle strazianti dei feriti e dei moribondi e al suono secco e metallico delle armi. A un tratto ecco di nuovo il dio del Tuono risuonare forte nell’aria e non solo una volta ma due, tre, quattro. Ikschel puntò il dito verso un punto alle spalle del muro di uomini creato dai soldati di Cholula e Tototl vide alcuni spagnoli che puntavano verso le loro schiene lunghi bastoni di metallo. A un tratto i bastoni tuonavano e un uomo cadeva a terra e non si muoveva più. Gli dei hanno armi di tuono che gli uomini non possono contrastare, si disse con un filo di voce. Cortes dai lunghi capelli scuri guidava gli spagnoli dai bastoni tonanti, indicando con la spada in pugno la resistenza di Cholula. Aggrediti su due fronti, i pochi guerrieri sopravvissuti abbandonarono il grande viale per provare a resistere per le vie della città. Come un branco di predatori che, dopo aver diviso un branco di cervi, si appresta a inseguirli nella grande foresta, allo stesso modo conquistadores e totonachi si diedero alla caccia dei loro avversari. Mentre il sangue scorreva a fiume nella grande città il Sole, ebbro di tante offerte, saliva sempre più in alto nel cielo e, quando raggiunse lo zenit, come un ubriaco che ha davvero ecceduto , iniziò a declinare mentre gli uomini ancora si uccidevano in una lotta senza quartiere. I cittadini di Cholula venivano fatti a pezzi nelle strade e nelle case, uccisi come animali ovunque avessero tentato di trovare riparo. Come giaguari si aggiravano famelici i loro nemici, battendo ogni centimetro della città ormai indifesa, stuprata.

Tototl e Ikschel capirono che, ormai, nemmeno il loro piccolo nido era al sicuro e ogni secondo era utile se volevano provare a lasciare la città incolumi quindi, facendo attenzione a ogni passo, scivolarono silenziosi lungo le scale fresche della casa silenziosa fino all’uscio e, dopo essersi accertati che la strada fosse deserta, si lanciarono veloci in un volo disperato. Ci sono cose che il cervello vede prima ancora che la coscienza ne prenda atto e muove il corpo prima del pensiero. Tototl non seppe mai spiegarsi come il suo istinto lo spinse a frenare di colpo la corsa per poi farlo gettare su Ikscel per proteggerla. Ma per proteggerla da cosa?

Una spada era balenata nell’aria come un lampo di luce e adesso puntava diritta verso di loro, in attesa degli ordini di chi la stava impugnando. Una mano ferma e decisa usciva da una veste riccamente decorata e da un volto deciso incorniciato dalla lunga barba due occhi scuri fissavano i bambini. Quando Tototl fissò il suo sguardo negli occhi dello straniero sentì il tempo fermarsi e l’universo contrarsi su se stesso, mentre tutto cessava di esistere intorno a loro. Anche il respiro si fermò mentre il bambino di Cholula guardava Cortes, il dio venuto da lontano per portare la distruzione. Tremava l’uomo quanto il bambino, tremava Ikschel sotto di lui. Poi una mano leggera e scura si posò su quella del conquistador e il volto meraviglioso di Malitzin si accostò al suo, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Come riscuotendosi da un brutto sogno, Cortes si sciolse e sembrò riprendere vita e movimento. Anche Tototl riprese a respirare poi accadde l’incredibile. Cortes rinfoderò la spada e, dopo essersi chinato su di lui, accarezzò il volto del bambino. Era quindi di carne lo spagnolo? Poteva quindi essere ferito e ucciso come loro?

Si dice che la morte, per un bambino, sia quasi sempre preceduta da attimi di intenso stupore. O almeno così si dice. Ed erano stati davvero giorni di stupore, quelli in cui gli uomini della terra e del cielo avevano incontrato i loro dei. Ma, mentre un tramonto di sangue scendeva pietoso sulla terra straziata dagli uomini, Tototl e Ikschel avevano avuto salva la vita proprio da chi aveva portato la morte sulla loro gente. Mentre raggiungevano la vetta del monte dal quale avrebbero potuto vedere la città sul fondo della valle, non si voltarono. Giurarono a sé stessi che sarebbero sopravvissuti.

Altrove. L’avrebbe portata in luogo sicuro, il cuore dell’Unico Mondo, Tenochtitlan, capitale dei fieri guerrieri Mexicatl.

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