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Dove eravate tutti

Romanzo

Paolo Di Paolo
Feltrinelli

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 28/10/2011 12:00:00

Il romanzo Dove eravate tutti di Paolo Di Paolo è uno spaccato sociale, culturale, politico, ma più che altro esistenziale, e ancor di più familiare, di un ventennio raccontato da un giovane,  nato nel 1983, di 27 anni, che narra le sue vicissitudini dal 1992, ovvero dai nove anni, quando comincia ad avere memoria storica, fino al 2010. Il ventennio è quello in cui Silvio Berlusconi ha fatto il bello e il cattivo tempo della politica, ma anche della società caratterizzando una filosofia di vita, che a partire da influssi mediatici ben definiti, mediate appunto anche da un certo tipo di televisione a dir poco leggera quali trasmissioni come Colpo grosso, passando per il Grande fratello, mettono in luce una specifica visione del mondo, delle cose e delle persone, che volenti o nolenti faranno parte di uno stile di vita, definibile tout court come berlusconismo, che coinvolgerà un po’ tutti, quei tutti, gli adulti, i padri, dei quali Italo, il protagonista del romanzo, che parla in prima persona, alias Paolo Di Paolo, si chiede dove fossero, nel senso di come avessero fatto a non rendersi conto di quello che stesse avvenendo, come se non ci fossero. Italo ricorda come i suoi anni di bambino che si proietta sull’adolescenza e i suoi anni di adolescente e quindi di ragazzo fossero pervasi da questo signore della politica e della televisione, che in qualche modo ha ossessionato la sua esistenza. Sono le vicende raccontate dalla radio, dalle televisioni, ma soprattutto dai giornali a cominciare dalla caduta di Bettino Craxi, passando per la Seconda repubblica, fino all'attentato alle Torri Gemelle e all'elezione di Barack Obama, che segnano un filo rosso di una storia in un modo o nell’altro coagulata a livello nazionale intorno ad un unico politico. Quasi assenti tutti gli altri. Al punto che dovendo scegliere la tesi di laurea, decide di farne una in Storia contemporanea proprio su Berlusconi. Le vicende narrate nel romanzo si imperniano però, piuttosto che su vicende politiche, di cui si hanno cenni per frammenti, per quanto emblematici, su quanto succede ed è successo nella famiglia di Italo, per quanto la memoria aiuti a ricordare. E il fatto su cui gira un po’ tutta la vicenda è l’incidente causato volontariamente con la propria automobile da Mario Tramontana, padre di Italo, professore di scuola media superiore, da poco in pensione, con la smania di voler pubblicare ad ogni costo un saggio storico, snobbato dall’editoria di spicco e allettato da un piccolo editore che lo intrappola nell’illusione della pubblicazione (a pagamento), che esasperato dal comportamento di un suo allievo, Tomas Marangoni, nonché fidanzato della figlia Anita, che in un gioco di vendette incrociate per fatti avvenuti durante una gita scolastica a Parigi (il ragazzo che si fa inghiottire da un postribolo, e quindi deve sorbirsi la paternale del professore davanti a tutta la classe; a sua volta il professore accusato con un biglietto anonimo fatto pervenire a casa sua nella cassetta delle lettere - con l’intento di farlo sapere alla moglie - col quale si dice che il professore avrebbe avuto una relazione con una collega di sostegno molto più giovane di lui), portano all’investimento di Tomas. Di qui si snodano tra presente e passato le vicende di una storia personale e familiare attraverso fatti, fotografie, oggetti da sempre presenti nella memoria e non solo, come il furgoncino azzurro del nonno, che in qualche modo farà ri-trovare Italo con Scirocco, infatuazione dell’infanzia che diventerà amore ri-trovato della giovinezza,  e poi le gioie e i dolori della quotidianità, i dubbi e le poche certezze, che abitano solo nella fede dell’onestà, della semplicità, alla ricerca di una vita buona e felice, tra tradizione e progresso, con un passato e un futuro incardinati su un presente certamente non facile dal punto di vista socio-politico, ma con una emergenza di quella forza d’animo che fa riprendere le fila da quanto di buono si può trovare nell’onestà di vita di questa come di tante famiglie italiane, che più nel passato che oggi sono andate avanti con sacrifici e dedizione radicati su quei valori di socialità e solidarietà che oggi paiono scomparsi perfino dal vocabolario e che laici e credenti in un modo o nell’altro professavano credendo nel valore dell’alterità. Alterità che nel romanzo si scorge in altro luogo, in un altrove rappresentato da una Berlino, che rappresenta una via di fuga verso un non-posto dove potersi ritrovare. E dove in effetti si ritrovano Italo con la madre, fuggita dopo il presunto tradimento del marito, e dove si riannodano le fila di una vicenda che pur non essendo chiarita è però compresa dai personaggi del romanzo che trovano la forza per ricominciare a esserci, insieme. Oggi il mondo sembra rivoltarsi contro di sé attraverso violenze di ogni tipo, che si giocano perfino all’interno dei nuclei familiari, violenze materiali, psicologiche, morali, spirituali, che sembrano negare quella libertà di cui molti di noi vogliono riappropriarsi. Ma non una libertà scevra da qualunque altra dimensione, ma una libertà legata, co-legata alla responsabilità di ciascuno e di tutti, con tutti e per tutti. Quei tutti che forse non eravamo in qualche modo presenti, che non eravamo attenti, e ci siamo visti condurre a quel mondo che in qualche modo ci siamo meritati. Oggi è giunto il momento di una ribellione, pacifica, condotta con la serenità e anche con un pizzico di ironia da parte delle nostre capacità critiche, de-costruttive ma soprattutto costruttive, per cercare di tessere le fila di una nuova società, dove finalmente ci sia la capacità di poter tornare a dialogare, a vivere insieme, senza presunzioni, con apertura all’altro, anche a quello che dell’altro non ci piace, come avviene alla fine del romanzo. Perché se ci siamo, se siamo insieme, uniti, le gioie sopperiscono in qualche modo al dolore della vita. E la vita forse diviene meno complessa e meno amara. Una vita nella quale è necessario soprattutto amare, senza retorica, ma soprattutto senza egoismi e sopraffazioni e tornaconti. Il romanzo di Di Paolo è sicuramente una ventata di novità nel panorama letterario contemporaneo. Scritto con quella leggerezza formale evocata da Italo Calvino, ma nello stesso tempo armato di una profondità e di una saggezza, che ci stupiscono se pensiamo che Di Paolo è un giovane coetaneo a Italo, il protagonista del romanzo. Un romanzo che prende dall’inizio alla fine in un crescendo che difficilmente fa allontanare il lettore, preso da una forza calamitante che lo trattiene fino all’ultimo incollato alle pagine, fintanto che non si arriva alla fine. Una fine che però è un inizio, inteso a lavorare per ricucire lo strappo di non essere stati e per esserci a vigilare che le nostre storie, le nostre esistenze possano dare un collante alla società, facendo riacquistare ad essa i valori perduti. Il romanzo di Di Paolo ha tante altre qualità, oltre a quelle già menzionate, quali la leggerezza formale, l’alta densità di contenuti, una leggibilità piacevole che coinvolge e avvolge nella trama ben dipanata, nell’invenzione dei tratti narrativi, con l’incursione di notizie a frammento di una realtà che tocca la quotidianità dell’esistenza delle singole persone e della comunità superstite, quali la famiglia, la scuola, etc., svelando quelle che sono le ansie, le dolcezze, le amarezze, le illusioni, le dis-illusioni, le in-comprensioni e soprattutto la possibilità di ognuno di comprendere con fiducia gli altri. Romanzo di formazione potremmo definirlo, dove si dipana la fioritura di una giovinezza all’ombra e al sole (più ombra che sole) delle vicende sociali e politiche ma soprattutto della maturazione e della caratterizzazione di un bambino-adolescente che diviene giovane e prende consapevolezza della Storia e della storia. Con all’interno un conflitto generazionale che evidenzia come molti giovani di oggi possano chiedere alla generazione precedente: Dove eravate tutti? Spesso si condannano i giovani di essere nihilisti. Molti fatti lo mettono ben in evidenza, come quando attentano senza ragioni alla propria vita, alla vita degli altri, in poche parole al bene comune. Ma per fortuna non tutti i giovani si ispirano al nulla, alla vita giocata in modo inautentico. C’è chi come Italo ha capacità di rivalsa caratteriale e culturale su chi è stato assente, su quegli adulti che sono stati i maestri del nulla. E ci sono giovani come lo scrittore Paolo Di Paolo che dimostrano attraverso il mezzo della cultura della scrittura della letteratura come sia possibile reagire alla pseudocultura del niente. Un romanzo, infine, questo, che dimostra soprattutto che cosa significa per uno scrittore essere responsabile, nella misura in cui pur non facendo filosofia dei massimi sistemi, ma attraverso la letteratura e il romanzo e una scrittura snella e pulita, scevra da facili retoriche e da facili naturalismi, oggi tanto di moda, dimostra come si possa lanciare un messaggio di autentica rinascita per costruire una società migliore basata su qualcosa piuttosto che sul nulla, a cominciare dalle piccole cose di ogni giorno dagli affetti dalla famiglia dagli amici dalle persone a noi care che per una buona sorte ci amano e noi possiamo amare. Perché è solo con la fede (laica o religiosa che sia),  è solo con il fondamento di determinati valori che si potrà costruire una società migliore che attenda al bene comune. E il messaggio che dovremmo cogliere con questo bel romanzo è proprio quello di fare in modo che oggi davanti all’appello abbiamo la responsabilità morale di esserci e di essere presenti, con valenza esistenziale, oltre che personale, familiare, culturale, intellettuale, sociale, politica, affinchè possiamo testimoniare quell’autenticità che mandi in deroga che qualcuno nel prossimo futuro possa dirci ancora una volta: Dove eravate tutti.



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