Quanto coraggio per mettersi in strada
per accogliere in grembo la mano protesa
fino alle acque, al canto di Myriam
che col tamburello fa festa, diritta.
Non accade fulminea la liberazione-
viene piano dal basso, la saliva celeste,
con le sue piaghe incancellabili-
come ogni morte, mai immediata,
se Lazzaro esce ancora legato,
e potrà camminare, sciolte le bende,
risorgere allora è un lungo affidarsi?
È una donna che mette tutta l’offerta
nel tempio, due spiccioli, quello che ha?
Mancavano solo due giorni alla Pasqua
e Marco racconta di quando a Betania
entrò una donna, da Simone il lebbroso,
con l’alabastro di nardo purissimo-
che ruppe versando l’unguento prezioso
fra un gesto solenne e insieme di cura,
il più intimo forse, le mani sul capo
di quel giovane uomo seduto più in basso
( lo spreco fu grande, si disse alla tavola
dove nessuno pensava alla morte)
col grande silenzio di chi ti accompagna
a un lutto- un tacere che riempie la gola
di tutto l’amore che aveva da offrire:
cancellare la puzza di morte alla tavola
preparando il suo corpo, come una sposa.
Porteremo sul petto all’infinito
i segni al costato ai piedi e alle mani,
ma è nulla la morte verso il profumo,
il suo largo d’aria meraviglioso,
se quella che sembra una tomba soltanto
è il principio bagnato di resurrezione
che rende possibile a un’altra vita
il coraggio di scrivere di avere udito
una voce nel vento la stessa poesia
di chi ha ripreso a respirare
dal seme disceso dentro la terra-
un dolore cristiano che non fa morire,
che ci accompagna e lento si immerge
nel battesimo sepolto
nella morte di Gesù.