Alla mia amata Eli
Lei si fidava. Ha appoggiato tranquilla il suo musino triste nella mia mano, e si è addormentata. L’ago non ha infierito con altro dolore,
Tre farmaci, per tre stadi di coscienza. Il calmante, poi l’anestesia e il farmaco letale hanno bloccato il suo cuore.
Quel cuore gioioso e pieno di vita che mi aveva scelto, diciotto anni prima, si è arrestato, ad occhi aperti.
Lei si fidava, seguiva la mia ombra, il cenno della mia mano che invitava, la voce che guidava.
E io che non mi sapevo memoria, ora mi sento pioggia, e scivolo nelle cose incompiute e negli anniversari.
Ho scavato il giardino, ho rotto radici e ho atteso che il suo gelo ne confermasse la morte.
Era freddo il suo corpo biondo che si ribellava alle cure, serrati i suoi denti sull’ultimo gemito.
Spento all’ultima carezza il suo mugolio felice, così strano che sembrava il ronfare di un gatto.
Spenti nella cecità gli occhi adoranti e lo sguardo triste se la sgridavo. Lontane le corse pazze in campagna inseguendo lepri e fagiani.
Lei si fidava e io ho deciso, di non lasciarle più gridare il dolore, di fermare il sangue che l’abbandonava e di piangere la sua impotenza a muoversi.
Di coprire di terra fertile il suo piccolo corpo.
Di piangere la necessaria crudezza del sentirmi Dio per un istante.
E vorrei sapere se mi ha perdonata, se nell’altra dimensione mi aspetterà e riconoscerà.
Lei si fidava, e io l’ho tradita e vivo.
Come l’erba che ha paura ma sa che si ergerà ancora dopo essere schiacciata.
Vivo come si vive dopo i grandi dolori che umiliano e addolciscono…
30 marzo 2018
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