Ho messo insieme il tuo piede
leggero,
nel labirinto di mille,
e una notte,
la bianca e perfetta di reti
invisibili, pietre, e gli erbari,
sull’isola al centro, che amo,
dei piccoli fiori di melo.
È tutta qui nel farsi preghiera,
la spinta che diffonde, quando è ora,
nel goccio di saliva trattenuto
negli occhi, divenuti come frutti,
nella coppa, che raccoglie la sua origine
circondata dai due fiumi, e primavera,
il ventre di una madre, come tante,
nel corpo di un minuscolo che viaggia
coi bambini di Ederlezi sulla schiena
il gira gira stupefatto e consonante
alla lingua dei bambara con lo schiocco;
< Oh! Ridiamo come stessimo pregando
come faccio nel vuoto del mio letto
alzando il fango che dorme nella luce
fuori dal torace, allo scoperto >
Ed ora vieni, minuzia di una stella,
mentre vado a fare i fiori con il dorso
carico di latte coi colori
nella gola fino al buio, della sera
riportando il segno di una lacrima,
quando appena visibile cammina,
sul buco di dolcezza della yurta
da cui riparte il bisso luminoso
lo spiraglio che moltiplica l’amore
nel continuo movimento di un miracolo
che a comporre la sua voce va alla gioia.
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