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Il Canto Dell’Infermo

di Domenico De Ferraro
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Pubblicato il 29/03/2020 12:09:18


IL CANTO DELL’ INFERMO




Quantunque la speranza fiorisca dall’essere e dal male del suo tempo . Ella congiunge il verbo alla sorte di molta gente e di molto andare per laide vie , il sospetto d’essere in questo tempo contagiati da un male sconosciuto , rattrista assai come una forma ignara alla comprensione umana nata negli anni passati dall’incarnazione alla globalizzazione . Un virus esule per valli oscure ramingo va con il suo lento passo verso noi stessi . Impauriti in tanti, uniti senza alcun nome nella pietà imploranti ai piedi della santa vergine del porto. E le navi venivano a frotte dentro al porto salvo e l’aria pian piano divenne infetta , una morte si sparse per quelle vie un tempo animate dalla gioia del vivere e da tanti innamoramenti e nel dimostrare che nulla ha fine. Ed il principio della vita viveva nella nostra morte corporale in quell’unione di uomo e Dio che indissolubilmente si configura nel verbo incarnato. E nella sua parola , noi poveri mortali divenimmo carne da macello , traditi dal nostro povero amore . Della mia città rammento i bei palazzi le grandi cattedrali che costeggiavano il fiume, grandi , immense, simboli del potere papale e borghese , simboli di una borghesia , figlia del suo avere del suo amore carnale che analmente progredisce e scema nella scienza delle parole epilettiche , nell’essere una grammatica , figlia di molte lingue di molti poemi composti in silenzio. Ed ebbi paura , tanta paura , nel sapere della storia, mi assali l’ira ed il mio animo afflitto, cadde nella disperazione. In qual momento , accade qualcosa non so se fu prima la morte a giungere o la disperazione che mi lasciò per un amore da quattro soldi . Ed il mio cuore batteva forte ed ascoltavo la morte venire a cavallo, guidare schiere di demoni , di mostri , d’anime che irreligiosamente incarnavano il bene ed il male di questa realtà.

Ed il male giunse da lontano dalle terre d’oriente, nel vento, corse dentro il povero corpo di un commesso viaggiatore , poi tra le vesti di un ambulante indiano , tra le pieghe della mano di un marinaio . Ed in tanti attendemmo , tutto passasse , guardinghi nell’ingegno e nella malvagità che portava seco quel male , giunse alfine sulle dolci sponde della mia dolorosa patria . Il male sotto forma di un virus terribile , che ti faceva soffocare ti conduceva lasso laggiù̀ nell’inferno che avevamo sempre cercato di sfuggire . Era l’ira di Dio o la giustizia di questo mondo , sotto forma di diversi intendimenti, fu parte di un ricordo che inerme, aveva animato allungo il mondo con le sue belle canzoni. Un male iniquo, figlio della lussuria , figlio dei tanti eccessi. E s’invocava il signore , buon pastore ci salvasse da quel flagello. E la morte non guardò in faccia nessuno e di niuno si reputò amico sincero.
Ed in quella santa processione d’anime innocente, verso il sacro monte delle beatitudine, in fila verso una salvezza effimera al tatto , candita, dolce come le guance della santa vergine che ci guida nel nostro perigliosi cammino , le molte devote persone pregavano i santi e gli infermieri di far presto a salvare quei loro cari , affetti da quel male. Ed io , avevo molto paura e non sapevo cosa fare, ne cosa dire e sarei potuto morire anch’io , se solo Dio volendo sarei scampato promisi d’essere buon cristiano e buon giudeo, buon musulmano . Ora la mia vita era un fiore sincero , fatto di tanti colori diversi, fatto ad immagine di un verso che io coltivavo nel mio spirito , come se fosse un ricordo che mi aveva condotto laggiù̀ , dentro il cuore di una donna, dentro il cuore di molte persone e di molti amori , io continuai a vivere.

Le manifestazione del male si realizzavano , ed erano evidenti in pochi giorni . Molto era lo spavento , vedere , comparire segni e sintomi fatali, in un lento finire tra le braccia di un angoscia che scioglieva il sangue e conduceva oltre il nostro credo, verso una dimensione disumana . Ero cosi provato da tanto male che non sapendo cosa fare , nascosi i miei versi , sotto un sasso e pregai tanto , pregai i santi , soprattutto la santa vergine che salvasse me e la mia famiglia. Ma il vento giunge e con esso anche quel maledetto virus , prese forma di una mortale malattia . La cura di questa orrenda malattia , anche i medici non sapevano cosa era , cosa fare ed essi stessi , morivano di tale morbo . Ballavano con i malati , l’accudivano, li sorreggevano ,gli stringevano la mano nel punto del trapasso e le lacrime cadevano copiose . Figlio mio , dolcissimo , figlio delle mie sventure , li vidi morire in molti ed io stesso, sfuggi per un soffio a quel terribile flagello , come una quercia pendula su una collina che viene abbattuta dal falegname per farne poi legna da costruire mobili pregiati. Ed in pochi ne guarivano ed in molti ne morivano , come se fossero mosche acchiappate sotto un bicchiere .Una goccia di saliva , uno starnuto e tutti scappavano a gambe levate , verso una altra dimensione , ed io soffrivo, oh come soffrivo nel vedere tanto male che tanto piansi in silenzio e nel crescere nel seguire i sensi mi spensi al lume della ragione che illuminò il mio cammino.

Ed i malati erano tantissimi , come le foglie degli alberi , come le parole che vado scrivendo su questo foglio di carta, nell’animo mio nel mio spirito, spinto dal vento dell’ingegno da una vecchia logica riassumente questa vita nostra . Come se ella fosse una bellezza oscura. Molti piangevano i loro cari , molti ahimè erano , miei fratelli e mie sorelle inferme. E fu questo male inguaribile che accrebbe la consapevolezza , la vita è qualcosa di prezioso. Che l’anima si guarisce con la preghiera ed il corpo con l’amore d’essere fratelli e sorelle. E più avanti si andò , più il male trasformò il nostro vivere in una apocalisse , un dramma universale che unì tutti gli uomini e tutte le donne di questa terra. E tutti vedemmo di cosa fosse capace la natura, di cosa fosse capace questo flagello divino e chi non ama non prega , chi desidera il male altrui , coltiva una arbusto di disgrazie che difficilmente fiorisce all’istante e con il tempo prossimo si giunge all’essere morti per poi risorgere nel santo nome di nostro signore. Nessuno toccava i panni altrui, nessun più si baciava, ne sospirava in amori senili e giovinetti per graziose fanciulle. E tutti noi , soffrivamo questo inferno invisibile , questo inferno dalle molte forme , figlie della nostra arroganza e ignoranza.

Quanto avrei voluto volare lontano, quanto avrei voluto parlare con nostro signore dirgli cosa pensassi di tutto ciò, trovare una soluzione a quel male. Ed il mare era calmo è le barche con gli infermi continuavano ad entrare nel porto. Ed in molti si davano da fare Coraggiosi dottori si prodigavano per la salvezza di quegli uomini per la salvezza di questo mondo. Ed io mi chiedevo se tutto ciò fosse giusto , se il tempo avrebbe guarito le ferite inflette, se avrei trovato anch’io la morte o la salvezza , nell’andare avanti ed ero terrorizzato dal conoscere il mio futuro, così ora tra un uomo , ora tra una donna , in mezzo a tanti sconosciuti io ero presente tra loro con il mio fardello. La mia vita era poca cosa , poco colore , poche cose da raccontare , da tramandare . Da condividere con gli altri , pochi nomi e pochi denari avevo , per salvare me stesso ed i mie cari. Ed il mostro era solitario, orrendo nella sua strana forma, faceva il gradasso la per le strade del mondo. Da quelle paure somiglianti all’invidia, alla collera, nasceva ogni giorno una nuova comprensione dell’essere e noi tutti eravamo oggetto e soggetto del trapasso di quel passo che conduce davanti all’averno davanti al giorno del giudizio.
Sento tante grida
Chi sei ?
Sono un infermo
Non uscire stai attento il male sta per passare
Mi nascondo sotto la panca
Fai bene, rimani li non ti muovere mo’ ti mando una cartolina
Fai prestato che mi sto facendo sotto
Non avete più carta igienica ?
Manca, purtroppo e non possiamo scendere a comprarne
Non fate i superficiali , preparatevi
A cosa ?
Il tempo della salvezza è vicino
Non ci posso credere io mi chiamo Salvatore
Salvatore lo vuoi capire che qui stiamo morendo
Ma tua madre non era di Napoli ?
Si , ma ha vissuto per tanto tempo ad Acerra
Ecco, ora mi spiego , mi volevi fare fesso
Colombo ma allora sei proprio un maccarone
Come ti permetti ?
Colombo, tutto il mondo aspetta la colomba
Ma per pasqua manca ancora molto
La pasqua ci salverà, passeremo il mare rosso vedrai,
arriveremo tutti salvi sull’altra sponda
Sia fatta la volontà di nostro signore
Ti fa piacere ? porta il salvagente
Porto il canarino , si chiama Umberto
Che carino quanti anni ha ?
Mah, credo trent’anni
Però , se li porta bene
E un canarino magico
Si , cosa è capace di fare ?
Può salvare la gente con il suo canto
Non ci posso credere è un uccello incantato
Si , prima di essere un uccello , era uno mago e lavorava al circo Orfei
Veramente dove lo hai trovato ?
Lo comprato al mercato delle pulci per pochi euro
Che fortuna, io ho una canarina si chiama Ginetta e fa sempre tante mossette.
Ginetta che bella reginetta
Questo non lo so se ancora vergine
Allora facciamo un accoppiamento, Ginetta ed Umberto
Che bel matrimonio sarà
Faremo una gran festa , inviteremo il sindaco , tutti i consiglieri comunali
Io vorrei invitare pure a Michele
Come no ,invitiamo anche il primario
Ed i medici?
Anche loro
Oh non dimentichiamo nostro signore
Non preoccuparti , gli ho già mandato l’invito per le nozze un mese fa.

In molti furono avvisati ed in molti non capirono il senso di quella tragedia , che prendeva piede sempre più, cosi da trasformarsi ora in un agnello , ora in un drago, ora in un feroce leone , d’origine africana , proveniente dal Congo . Ammalato, stanco, girovagava per strade poco pulite , spargendo il virus come se fosse una manna come se fosse l’esito degli analisi da mandare a chiunque lo desiderasse. Ed i bar erano vuoti , le pizzerie deserte, come se non fossero mai nate come se fossero , alcove , ricettacolo di un male contagiosissimo che prendeva piede. Ed il mostro si mostrava con la sua croce vicino all’interessato con quella sorda somiglianza al demonio. In molti credettero ed in moti si preparano a riceverlo in seno. Tutti restarono a casa ad aspettare il male passasse e in quella complicità , in quel linguaggio forbito, amarognolo, simile ad uno gnomo , nacquero giochi e novelle Ed il nonno fece un dipinto e la nonna una tarantella poi una veste d’argento per angelina che si sarebbe dovuto sposare a dicembre di quello stesso anno in cui il mostro detto coronavirus si mostrò a tutti i popoli del mondo. Ed in molti riempirono le loro piccole case di ogni vivere e d’ogni alimento, si mangiava prosciutto a prima mattina, salame a colazione, si mangiava strudel e manicaretti deliziosi , fatti dalla zia Emilia che aveva assai viaggiato per tutto il mondo . Ed ogni tanto venivano i vicini di casa a raccontare della loro quarantena e mamma prendeva poi la scopa e scopava copiosa per pulire la polvere dei morti che i vicini portavano attaccati sotto le suole delle loro scarpe. Ed il mondo io , lo vedevo azzurro ed a volte roseo , volevo credere e sperare che sarebbe finito al più presto tutto ciò . Che mi sarei salvato , avrei fatto un viaggio anch’io , fin dall’altra parte del mondo , con in testa un nuovo copricapo ed una nuova borsa, in una nuova messa da portare con me , verso quell’indefinito slancio creativo che raccoglie in seno questa voluttuosa vita.

Secondo lei , sarà mai possibile salvarsi signora concetta ?
Ma cosa dite questo è una manovra del governo, sono stati i coreani per sabotare gli indiani hanno creato in laboratorio un virus più potente di quello cinese
Da non credere, ma a voi chi ve la detto ?
Mio fratello fa il commesso viaggiatore, lavora per conto di una multinazionale
Allora pure l’acqua non si può bere ?
Beh noi si , la nostra viene da Serino
L’acqua , guarisce da ogni male
Io ne bevo tre bicchiere al giorno
Non vorrei che si offendesse ma io ne ho comprato quattro casse ad Afragola il mese scorso
Non è scaduta?
Per carità è freschissima , vi potete fare il bidè
Che brava gente che siete
Non per dire, noi siamo della provincia di potenza
nostra madre , buonanima faceva la lavandaia
Che carini , che siete , ve la mangiate una fetta di pizza?
Si grazie in questo momento mi mette forza e costanza
nel mio essere depresso a causa di tante brutte notizie
Certamente ve ne taglio una bella fetta, ve la portate a casa vostra
La facciamo mangiare pure alla nonna di centouno anni
E vive ancora ?
E chi la sotterra , cara signora concetta quella è una brigante
Impressionante come voi amate vostra madre e come amare il cielo , la terra tutta.
Certamente, noi , non ci facciamo mancare niente
Sia fatta la volontà di nostro signore.

In tanta afflizione e miseria , per la nostra amata città , si sparse la voce di una presunta salvezza , in poco tempo in tanti accorsero sotto l’ospedale dello spirito santo a ricevere un confezione , un pacco di pastiglie che li avrebbe guariti da quel male , che ad ogni ora , mieteva vittime innocenti e faceva sommare morti su morti sopra il carro funebre di cui appresso in molti piangevano a dirotto. Tante persone care, tanti ricordi sparivano tra le ombre del passato , con il trascendere, il vendere , il tenere conto di ogni nome ed ogni fatto, plausibile la sorte era nera come la peste. Alcuni erano increduli di quella medicina non si fidavano, dicevano era un placebo che non avrebbe portato, nessuna guarigione e nessuna gioia , sarebbe rinata nei loro cuori e nei loro corpi . Che non sarebbe più rifiorita la salute ora simile ad un uccello fuggito dal nido, smarrito sotto la pioggia vagante per contrade alla ricerca di sua madre . Un uccello capace di rendere unici e irripetibili i propri momenti in quella diaspora in cui anni addietro ci aveva condotto al patibolo e nelle camere a gas , nelle celle della morte . Ed ogni cosa era assai triste nell’essere forma sostanza dell’essere che divora se stesso, divora l’anima, rode le ossa , li rosicchia in silenzio . Morte, dicevano in molti vieni, ed in tanti cantavano sopra gli edifici , fuori i balconi la loro storia umana , la loro gioia d’essere ancora vivi nel sogno di passate giovinezze.

Ed in tanti avevano smarrito la diritta via ed in molti si ritrovarono nella selva oscura insieme al mostro. Insieme al coronavirus che spalancò le fauci poscia li morse dilaniò le loro carni. Una belva oscura famelica, oscura come la notte, come le lacrime che mi scendevano copiose dai miei occhi. Ed implorai , cercai di fuggire non volevo morire all’alba dei miei giorni , come se fossi un signore di mezz’età, un uomo qualunque , come se fossi un anonimo infermo , io non caddi e mi rialzai con le mie gambe ai margini del bosco con la speranza di farcela anch’io. Alcuni erano certi di farcela si comprarono tramite raccomandazione un posto in paradiso , si facevano i conti sulle spese fatte, si ritiravano nelle loro principesche dimore , con la morte a guinzagliò. Alcuni cercavano di mostrare clemenza verso l’ignoranza , ma il male, il mostro , girava indisturbato per le strade ed entrava dove gli faceva comodo , dove c’erano zeppole , panzarotti dove c’era molto allegria e simpatia , dove si facevano feste, dove si sparava fuochi d’anticipo, il mostro si autoinvitava ben vestito, si presentava alla festa a volte in compagnia di qualche altro virus dal nome russo , cecoslovacco o cinese della provincia del jiangsu . Ed il virus era discreto tra le vittime, li sceglieva secondo il caso o la cronologia di una logica divina che non rende merito al nostro amato signore. Ed in molti si vedevano trascinati con i piedi dentro un autombulanza dove si potevano udire cantare Bob Dylan o Sal Da Vinci.

Pure tu sei qui alla festa
Io sono il padrone di casa
Ma questa non è la festa di compleanno di rosetta
Ma chi questa rosetta ?
Come quella che ha la borsetta rossa.
Tra poco l’ammazzo a questo , che nervoso mi fa
Ora prendi la scopa e pulisci
Ma io sono l’amico di rosetta
Ed io sono il padrone di casa
Non mi faccio capace, ma voi non siete il signor Michele quello del supermercato ?
Si perché
Anche voi qui in ospedale ?
E si , mi sono contagiato ad una festa di laurea di mia cugina Lucrezia
Che disgrazia
Lo potete dire forte che maledizione
Chi sa, se c’è la faremmo
Io ho chiamato l’esercito
Io ho fatto denuncia al ministero della pubblica istruzione
E una rovina non ,c’è nemmeno più posto al camposanto
Sono disperato
Io piango
Io non ho più lacrime per coronare questa disgrazia
Accendete la luce
Chi la spenta
Sara stato il mostro , colpisce nell’oscurità
Sia fatta la volontà del cielo
Siete cieco
No a dire il vero sono sorda
Ma lei è una furbacchione
Per carità ho portato mia madre a prendere un po’ di aria fresca vicino al mare
Signora cara , ma questo è un reato
Ma a me che me ne importa , io sono senza pudore
Allora badate bene che la speranza è sempre l’ultima a morire.

E da questo abbandonare gli infermi a loro destino , al pianto che riduce ad essere la progenie di una generazione andante a passo lento . Vidi sul sacro soglio di Pietro, levare al cielo il santissimo sacramento per scacciare quel male che s’annidava in ogni luogo. La pioggia bagnava le strade , le sane persone , i poveri infermi disordinati si rivolgevano alle congreghe e alle pie opere della misericordia. In quei giorni il canto degli infermi si udii nei vari continenti , si elevò con la preghiera del santo padre a sconfiggere quel germe ingeneroso ed ingegnoso, iracondo , calpestava l’ardire di erode e l’audacia di Anchise, la saggezza di Pitagora, la logica del Chiaravalle. La bellezza della gioconda. Tutti eravamo figli delle proprie colpe, della propria ignoranza del proprio male così tutti attendemmo in silenzio , venire lo spirito santo in nostro aiuto.

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