Fin da bambino, coltivo la passione per le passeggiate in bosco. Trovo non ci sia niente di più rilassante che staccare dalla città e immergersi nel verde, magari incrociando qualche suo abitante di passaggio, un capriolo, un cinghiale, anche uno scoiattolo. La passione per la Natura mi ha accompagnato fin dalla prima infanzia, con le gite in famiglia.
Un giorno, accadde un evento che cambiò la mia percezione del Carso, per sempre.
Era una giornata di inizi settembre. Il Carso, tutto, si stava già vestendo d’autunno.
Avanzavo lungo un sentiero che serpeggiava nella macchia. L’aria fresca del bosco, mi inebriava i sensi. Il suo odore, pungente, sollevava lo spirito dalla frenesia della città. In giornate come queste, le ore lavorative sono una eco lontana.
Dopo svariati minuti di cammino, il sentiero si fece sempre più stretto. Più avanti, l’erba alta lo ricopriva del tutto.
Allungai il collo, vedendo che riprendeva poco più in là. Avanzai verso l’erba alta. Ne scostai gli steli con la gamba destra. La sinistra, però, non trovò più il terreno. Capitò tutto in un secondo. Prima che potessi veramente realizzare cosa stava accadendo, mi trovai a cadere. Petto e braccia cozzarono sul terreno. Poi, ebbi la sensazione di un vuoto assoluto attorno a me.
Caddi.
Rovinai su una superficie dura. Il fiato svanì dalla gola. Un dolore lancinante bruciava la spina dorsale. Per un attimo, non sentii la gamba destra. Provai a muoverla. Ma non ci riuscii.
La guardai. Ciò che vidi, mi paralizzò. Il ginocchio era piegato in una posa innaturale. Poco sotto a esso, un osso bianco, circondato da un rivolo di sangue, faceva capolino dai pantaloni.
Alzai lo sguardo. Un’apertura a taglio, come una ferita nel terreno, stava a sei metri da me. Oltre a essa, vidi le fronde alte di alcuni pini marittimi. Steli d’erba alta danzavano sull’orlo.
Ero caduto in un fosso.
Un pianto mi scosse tutto. Come avrei fatto a uscire vivo da lì?
Lentamente, sofferente, alzai il busto dal terreno cosparso di sassi. Mi guardai attorno. Ero circondato da una parete di roccia liscia, ben compatta. E, comunque, con la gamba ridotta in quello stato, non sarei riuscito a compiere un solo passo.
Sospirando dalla tensione, estrassi il mio cellulare dalla tasca del giubbotto. Era a metà.
L’urto col terreno sassoso, l’aveva distrutto.
Allora, mi portai una mano a coppa davanti la bocca. Gridai con quanto fiato avevo in corpo. Imploravo aiuto.
Rimasi in ascolto per alcuni istanti. Silenzio assoluto.
Un’ombra scese su di me. A giudicare dalle dimensioni del sentiero, era evidente che non si trattava di una via molto frequentata. Ero in trappola.
Gridai di nuovo.
E questa volta, una voce sottile, vellutata, si alzò nell’aria.
<< Devi essere paziente. >>
Sussultai, perché quel suono era stranamente molto vicino.
Volgendomi, sgranai gli occhi dalla sorpresa. A pochi passi da me, immobile contro la parete di roccia, stava una ragazza; era mora, i lunghi capelli le coprivano le spalle minute; gli occhi grandi, nell’ombra risaltavano scuri; indossava un abito leggero, bianco, sporco di terriccio e di erba, che le metteva in risalto le braccia sottili e le gambe esili. Era scalza.
Rimasi senza parole, per tempo che mi sembrò interminabile. Lei non si scompose. Sulle sue labbra sottili, sembrò persino disegnarsi un flebile sorriso.
<< Ma… chi sei?… cosa… ci fai qui? >>, chiesi in un mormorio roco.
<< Mi chiamo Nina… ma poco importa cosa ci faccio qui… ora tu devi stare calmo, ed essere paziente. Forse, qualcuno passerà. >>
<< Se non grido, non mi sentirà nessuno. >>
<< Fidati. Non c’è nessuno di passaggio, al momento. >>
L’adrenalina doveva aver terminato il suo effetto, perché, all’improvviso, un dolore acuto, insostenibile, salì dalla gamba ferita.
Gridai, questa volta dalla sofferenza.
Udii dei passi leggeri. E la ragazza si abbassò su di me. Guardò la ferita, con attenzione.
<< Te la caverai. >>
Mi prese una mano tra le sue. Provai un brivido caldo avvamparmi dentro, nei recessi dell’anima.
<< Ma… chi sei? >>
<< Non importa. Cerca di resistere. Rimani sveglio. Parlami un po' di te.>>
<< Non ho molto da dire. Sono qui, ferito, e presto morirò...>>
<< No, non succederà. Perché ci sono io, qui.>>
<< Ma… Oddio, sto già sognando. Mi sto… immaginando tutto…>>
A dimostrazione del contrario, la ragazza mi baciò la mano.
<< Questo l’hai sentito? >>
Annuii.
<< Allora non stai sognando. Te la caverai. >>
Una fitta di dolore risalì la gamba destra e si insinuò fino al cervello. Emisi un gemito soffocato.
La ragazza, Nina, mi guardava con sguardo dolce. Il suo volto fu l’ultima cosa che vidi. Un piacevole torpore mi avvolse. Poi, la tenebra cadde su di me. Persi i sensi.
Un vociare lontano. I latrati di un cane.
Questi suoni mi portarono alla realtà. Aprii gli occhi. Una tenebra densa avvolgeva il fosso. La luce di una torcia mi ferì gli occhi. Sbattei le palpebre. Guardai meglio.
Sul ciglio della buca, c’erano due uomini. La testa di un setter inglese stava in mezzo a loro. Guardava verso di me e abbaiava forte.
<< Ehi laggiù, tutto bene?! >>
Gridai con quanto fiato mi era rimasto nei polmoni. Dissi di essere ferito e di necessitare di cure mediche immediate.
<< Va bene. Adesso chiamiamo i soccorsi. Tieni duro! >>, urlò uno dei due.
La luce si spense. I latrati del cane si fecero meno intensi.
<< Ehi! Non andate via! Non lasciatemi qui! >>
<< Torniamo presto! >>
Mi guardai attorno. Ero salvo. Presto, sarebbero giunti dei soccorsi e mi avrebbero tirato fuori dalla fossa. Poi, un nome echeggiò nella mente: Nina.
Mi guardai attorno. Sul momento non la vidi. Poi, aguzzando la vista, notai che se ne stava in disparte, posata contro la parete di roccia.
<< Hai visto? Prima del previsto, anche. >>
<< Resisti Nina, presto, ce ne usciamo da qui.>>
Le tenebre stavano salendo alla svelta. Di lei, potevo solo distinguere il vestito bianco.
Non so dirvi quanto tempo attesi. So solo che, a me, sembrò un’eternità.
Poi sentii delle voci maschili crescere d’intensità. Vidi lampeggiare delle luci sull’orlo del fosso. Una corda venne fatta calare nell’apertura. E un uomo, in veste da soccorso, si calò con attenzione lungo le pareti del fosso. Quando mi fu accanto, si accertò delle mie condizioni. Parlò con i suoi colleghi, chiedendo una lettiga.
Altri uomini la fecero scendere nell’apertura. Quando fu a tiro, il soccorritore la prese e, con molta delicatezza, mi aiutò a sistemarmici sopra. Alzò un pollice in aria.
Disteso, ben legato, mi sentii sollevare a forza. Mentre risalivo, con la lettiga che sfiorava le pareti rocciose, iniziai a gridare: << Nina! Prendete anche la ragazza! Nina! >>
Dopo qualche minuto, fui di nuovo all’aria aperta. Tre uomini posizionarono la lettiga di lato. Attesero il ritorno del loro collega.
Quando questi emerse dal fosso, vidi che era da solo.
Sgranai gli occhi dalla sorpresa. Presi ad agitarmi.
<< La ragazza! Dov’è la ragazza?! >>
Il soccorritore ci raggiunse.
<< Non c’era nessuna ragazza… è sicuro di stare bene? >>
<< Ma… le ho parlato! Lei… era lì sotto, con me! Si chiama Nina! >>
<< C’era solo lei nella fossa. Mi creda.>>
Gli uomini sollevarono la lettiga da terra. Iniziammo a seguire il sentiero, diretti verso l’uscita del bosco.
<< Vi dico che c’era una ragazza... >>
Una sagoma scattante passò accanto la lettiga. Era il setter inglese.
I due uomini, che avevano dato l’allarme, ci stavano seguendo. Non potei non ringraziarli per il loro pronto intervento.
Uno di loro affiancò la lettiga. Era molto più robusto di me, aveva una lunga barba scura, indossava una camicia rossa. Dovevano essere boscaioli.
<< Questa… ragazza, aveva un vestito bianco, vero? >>
<< Sì, certo. L’ha vista anche lei? >>
<< Oh no, è grazie a Vasco, il mio cane, che ti abbiamo trovato. Deve aver sentito il tuo odore.>>
<< Lei, si chiama Nina… era anche lei nella fossa...>>
L’uomo si abbassò su di me, come per non farsi sentire dagli altri.
<< Hai detto che si chiamava Nina?.>>
Annuii.
L’uomo si fece più vicino ancora, le sue labbra mi sfiorarono l’orecchio.
<< Si chiamava Nina Simic. Abitava con la famiglia nel mio stesso paese, a Pecez. Un giorno svanì, nel bosco. Capitò un’estate del duemiladieci. La cercammo ovunque, ma non la trovammo.>>
Un brivido glaciale mi si fuse con il sangue. Per un attimo, sentii i peli delle braccia e dietro il collo drizzarsi.
<< Io… io >>, mormorai.
<< Non devi dire niente. E non parlarne con nessuno, o ti prenderebbero per pazzo.>>
Caddi allora in un silenzio profondo. E in questo silenzio, ricordai il volto dolce di Nina, la ragazza della fossa, la sua gentilezza, l’alone di mistero che l’avvolgeva. Una lacrima, solitaria, mi solcò la guancia, mentre venivo trasportato attraverso il bosco, verso l’ospedale più vicino.
Trascorso il periodo di riabilitazione, non riuscii a resistere. Tornai in quel tratto del Carso. Prestando la massima attenzione, ritrovai il fosso. Mi abbassai sul ciglio. Era una giornata limpida, il sole splendeva tra le chiome degli alberi, e mi fu possibile vederne il fondo. Era vuoto.
Chiamai Nina a gran voce. Ma lei, non rispose.
Allora, estrassi dalla tasca del giubbotto una rosa rossa. E la lasciai cadere nel vuoto. La vidi volteggiare in aria e posarsi tra i sassi del terreno.
<< Riposa in pace, cara Nina. Riposa in pace >>, dissi.
Mi alzai, con un macigno nel petto. E mentre seguivo il sentiero verso casa, ampie lacrime mi bagnarono le gote.
Grazie Nina per la tua premura. Per avermi assistito in un momento terribile. Possa il Cielo donarti il sollievo che meriti.
FINE
RINGRAZIAMENTI:
Ringrazio il mio amico Michele Pupo per i preziosi consigli e suggerimenti.
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