Il coma era la conseguenza della cachessia in stato avanzato. La sentenza del sanitario del Pronto Intervento però non toglieva che, nei momenti in cui ero sveglio, fossi cosciente e capace di ascoltare, solo che non avevo le forze per aprire la bocca e gli occhi.
Comunque non avevo dolori perché mi somministravano il Contramal sotto la lingua. Oltre al medico, in quel momento si stavano occupando di me i due figli che avevo cresciuto, e mia moglie, che interveniva di tanto in tanto con parole tipo "ho capito" o "infatti".
Speravano che la mia morte fosse indolore. E veloce.
Secondo il medico del 118, gli organi stavano mollando uno dopo l'altro, quindi il calvario sarebbe finito di lì a poco. Mentre parlava mi alzò la palpebra destra e disse che i capillari della sclera si erano anneriti. Segno che la circolazione periferica non funzionasse più e che la vista fosse compromessa. Sarei deceduto entro due ore.
Ci sentivo ancora, però.
Mio figlio e la madre espressero il dubbio che se fossi morto in serata, il funerale non si sarebbe potuto svolgere l’indomani e si chiedevano se oltre le 24 ore la salma avrebbe cominciato a esalare gas.
Il dottore li rassicurò: gli addetti delle pompe funebri sapevano come intervenire sui cadaveri affinché non puzzassero. Sentii mia figlia tirare un sospiro di sollievo. Poi tutti continuarono a tranquillizzarsi a vicenda dicendo che in quel momento ero incosciente. A conferma di ciò, udii il medico asserire che ero insensibile alle punture che mi stava facendo con un ago sui polpastrelli. Le dita, infatti, erano diventate cianotiche. Poi aggiunse che avrebbero potuto farmi ricoverare giusto per non lasciare alcunché di intentato. Fra l'altro, morendo in ospedale, sarei stato esposto nella sala del pianto presso l'obitorio e i miei cari si sarebbero risparmiati il trambusto delle visite a casa.
Loro risposero che era una buona idea.
A quel punto distolsi l'attenzione da quello che gli astanti dicevano perché mi ricordai che mio cognato il giorno precedente mi aveva promesso dei pasticcini e non me li aveva portati. Avevo voglia di mangiare qualcosa di dolce.
Dopo cominciai ad avere tanto sonno, non riuscivo a concentrarmi su quello che sentivo e avvertivo un formicolio su tutto il corpo. Mi sembrava di vedere la buonanima di papà che camminava verso di me. Provavo ad abbracciarlo ma lui era arrabbiato, si rifiutava di stringermi e mi parlava ma io non capivo cosa stesse farfugliando. Poi, piano piano, riuscii a discriminare una sua espressione. Si trattava di una frase che mi diceva quando ero un adolescente e lo facevo arrabbiare.
“Cresci figli, cresci porci".
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