Venerdì 28 gennaio 2011 ore 18.30
Libreria del Cinema, Via dei Fienaroli 31/D
Trastevere Roma
Presentazione del libro
Schermi Riflessi
fra cinema e televisione
Armando Lostaglio
EditricErmes
*
Proponiamo una meditazione di
Carmen De Stasio
su
Schermi Riflessi
fra cinema e televisione
Cerco il mio spazio in un tempo nascosto e mi rintano nei pensieri nel sottofondo di silenzi che mi dissociano dalla concretezza del momento storico. Indugio su meditazioni che mi trascinano altrove. Nell’eterea dimensione del nulla, sospesa a mezz’aria mi lascio cullare da sensazioni che odorano di infinito e di un tempo come lo vorrei.
Mi si perdoni l’incipit enfatico e personalissimo di questa mia riflessione, sollecitata dalla lettura tra le pieghe delle parole del libro di cui andrò a parlare. Un trattato condensativo di logica, buon senso, etica ed estetica.
Quali sono i parametri per definire un libro come operazione valida da un punto di vista culturale? Innanzi tutto occorre visualizzare l’ambito in cui l’autore si muove, la specificità del soggetto e la vastità prospettica della congerie argomentativa. Inoltre urge considerare l’orma che la memoria e la misura del contenuto riesce a contenere nel tempo. Ecco pertanto che l’ultima fatica in ordine di tempo di Armando Lostaglio (critico televisivo e cinematografico) - Schermi Riflessi (fra cinema e televisione) - può essere definita come il tracciato intelligente di chi osserva cose, persone, circostanze da vicino ed intreccia argomentazioni nel ritmo delle quali si trascina il suono assordante della società, soprattutto italiana, del nostro tempo.
Si tratta di un’operazione culturale riflessa su schermi condivisibili e relativa a schemi a incastro, così come lo stesso titolo del libro suggerisce. E infatti gli schermi riflessi sono precisa allusione ad una serie di punti di contatto anche là dove apparentemente non se ne ravvedano.
Il testo si compone di recensioni scritte dallo stesso autore su personaggi pubblici e situazioni di cui egli è spettatore mai passivo, in grado di generare un percorso diegetico, contiguo dando voce a opinioni circostanziate che coinvolgono il lettore accorto e lo sollecitano a riflettere sull’evoluzione o, meglio, sul processo di evoluzione che non sempre si coniuga con pregevole utilizzo della logica.
Il libro di Armando Lostaglio pone le migliori condizioni per operare un confronto tra i sistemi di comunicazione attuali e quelli semplicemente relativi ad un quarantennio fa, prima che un certo tipo di televisione spodestasse il senso di reale motivazione all’invenzione. Non sono discutibili le condizioni entro le quali si riconduce il parlare relativo alle espressioni comportamentali correlate, giacché la televisione, nuovo focolare domestico soprattutto dall’ora di cena in poi, ha rimescolato le carte svendendosi a bassissimo costo e dilagando con proposte minime (non minimaliste) e liquefatte nel segno di una sontuosità autoreferenziale ed anestetizzante che comporta inesorabilmente la perdita della parola e, dunque, della riflessione.
Lostaglio affronta con diligenza ed acume la materia e la incunea in una prospettica curvatura che non lo vede mai in assoluto contrasto o distacco e che, al contrario, si compone di picchi entusiastici e fratture provocate dalla percezione di come lo schermo abbia man mano perduto la sua funzione rivelatrice, didattica (anti moraleggiante di maniera), propositiva, coordinata e coordinante in favore di lepide e noiose sceneggiate di dubbio gusto, inneggianti alla distruzione del buon senso e in grado di generare una nuova tendenza che con il politically correct bistrattato di qualche anno fa non ha più nulla a che fare.
L’autore dimensiona quel processo meiotico che vede ormai la completa scissione delle componenti una società distribuita tra coloro che intraprendono costantemente un viaggio alla ricerca di realtà sconosciute - moderni Chatwin assetati di energia e di (auto)arricchimento - e una massa di sudditi dell’ignoranza, il cui pensiero smette di funzionare in favore di una schermatizzazione che proietta un’immediatezza chiusa alla meditazione.
Eppure non era questo il ruolo del cinema, né tantomeno della televisione. La facilitazione dell’immediatezza di realtà reali o fantastiche nelle intenzioni avrebbe dovuto suscitare la ricerca successiva, a video spento, lasciando che la mente si proiettasse su orizzonti distanti e permettesse l’apertura al sogno, alla ricerca individuale. Invece la velocità ha intrapreso la rotta della meccanicità e dunque, anziché spunto per ulteriore indagine, il video per menti sonnacchiose e stagnanti è divenuto conformismo coniugato con scelleratezza, scostumatezza, degrado.
Ha ben motivo di inquietudine il nostro autore, nel cui stile si intellige la freschezza e l’eleganza dell’argomentare secondo un linguaggio apodittico e sintetico tipico del conversatore da pagina di cultura, da indagatore degli eventi che rientrano nella specialità del cinema e della tv, con lo sguardo accorto a cogliere prospettive positive e negative, lasciando immergere il lettore nell’acuto labirinto da cui affiorano nomi e situazioni alla massa indigeste perché sconosciute.
Nella sua metafisica e complessa analisi si evidenziano tuttavia momenti che elevano il respiro nella trattazione di coloro i quali, anche nel mondo della visibilità, sono riusciti e riescono ad emergere dal mare inquinato come voci che alleviano la rabbia provocata dallo stonato trionfo della stoltezza e di un edonismo che supera talora il mito stesso di Dorian Gray, cui sovente si allude.
Lostaglio tuttavia non bistratta la televisione in generale, piuttosto ne coglie le avversità di specie, facendo sottilmente rifermento a quelli che dovrebbero essere i criteri di accompagnamento di una società in continua discussione e che al contrario indugia su assolutismi, su ipse dixit de noantri, lasciando al lettore il compito di tirare le somme su una situazione che, mirando a sconfiggere l’ambizione di crescita per gradi, agevola l’affievolimento delle abilità di visualizzare e fare propri messaggi dal sapore dolciastro, super imposti e nemmeno più tanto velati.
Non lo desidero affatto, ma la mente mi porta a riflettere sulla sfacciataggine (che fa rima con dabbenaggine) della pubblicità, bandiera non già propositiva tra tanta concorrenza, ma rigida convenzione, indiscreta asserzione che trattiene, pur ponendosi come metafora amara e sarcastica di usi e abitudini ormai conclamati ed entrati a pieno titolo nel ritmo veloce e disorientante della società contemporanea.
In altri termini non si è davanti all’uomo ma davanti alla sua creazione, secondo una rilevazione che potrebbe essere ricondotta a quella che lo stesso autore definisce pornografia, ovvero sigillo di una prostituzione, di una messa in svendita dell’individuo del suo ruolo asservito e perduto dinnanzi alla sua stessa maschera.
Caustica e a tratti melanconica nei toni, la scrittura di Lostaglio si carica di entusiasmo solitario nei suoi scritti in memoriam di personalità la cui vita è o è stata celebrazione dello spirito indomito del viaggiatore in eterna corsa per superare se stesso, alla luce di spazi e di tempi in trasformazione, disponibile ad impilare costantemente vita su vita.
In un pregevole film futurista della durata di appena sette minuti la telecamera zoomava esclusivamente su piedi e scarpe in movimento, espressione simbolica di un modo dinamico di procedere secondo un proprio stile. Oggi tanti tra quei piedi sembrano percorrere un tracciato bustrofedico che non porta da nessuna parte. E’ dunque quella di Lostaglio un’incitazione alla ri-presa di coscienza, uno sguardo allungato sulla storia orizzontale o semplicemente la visualizzazione di uno stato di cose in cui l’uomo miserevolmente confuso, privato da se stesso della giusta rotta, urla la perdita di una giustizia e di una razionalità che, paradossalmente, cerca al di fuori di sé.
Probabilmente occorrerebbe aprire gli occhi su se stessi e riconsiderare le cose con una razionalità rinnovata, con una oculata valutazione del tempo attuale come forse il migliore che sia stato mai vissuto. Peccato che non ci si voglia rendere conto di questa minima verità. Forse perché non si posseggono strumenti efficaci di verifica.
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