Ho spiato ogni tuo gesto, bevuto ogni tua parola
per poter scoprire come diventare donna.
Lo so, non sempre ti andavo bene,
perché mi piaceva confonderti, provocarti,
lasciarti per poi tornare.
Mi hai insegnato ad aver coraggio
a combattere, sempre,
a sostenere pensieri, idee,
ricordati, dicevi, sei tu,
alla fine l’opinione degli altri poco conta.
Ho imparato la fragilità dell’ambivalenza,
quando improvvisa ti mancava la risposta,
la forza della determinazione e
l’audacia delle scelte, quando sicura
percorrevi la tua strada.
Ma troppa era
la tua diffidenza per gli uomini:
i figli maschi si amano per sempre,
ma i mariti e gli amanti tradiscono.
(è tuo, vero, quel furore
che a volte mi invade
quando un uomo mi sfida?)
Non capivo come volessi
che io fossi:
un’amazzone impavida,
sempre pronta a combattere?
una donna modesta e obbediente?
una lavoratrice capace e indipendente?
una figlia affettuosa? una madre efficiente?
una femminista irriducibile?
Nel tempo mi hai offerto tutte le facce.
Io osservavo e imparavo
a essere educata, gentile, combattiva, caparbia,
rivoluzionaria, generosa, egoista, conservatrice.
Che fatica trovare un’identità
e quanti pianti, lotte, contrasti per svincolarmi e poter
finalmente fuggire verso me stessa.
Era una battaglia aperta, riguardava solo noi due.
Gli uomini? Ancora una volta erano fuori,
ritenuti incapaci di entrare nel nostro mondo,
anche solo con una piccola parola.
Rincorrevo la tua bellezza.
Ho fumato le tue sigarette, ho indossato i tuoi vestiti,
le tue scarpe, ho messo il tuo rossetto,
persino il tuo profumo,
ho firmato tutte le carte che mi porgevi.
Ma volevo capire com’ero.
Ho indossato abiti stravaganti,
ho cancellato tutti i divieti,
mi sono accompagnata a persone assurde
ho sostenuto idee estreme
sono scappata ovunque,
dimenticando con rabbia consigli e intenzioni.
Ho alimentato la tua ansia di perdermi.
Io invece ero sempre al sicuro,
coperta dal tuo amore.
Mi sono crogiolata nella colpa
di essere diversa, non adatta, malfatta,
irraggiungibile nel mio cocciuto tacere.
Intanto tu cercavi in me ciò che era in te
ormai sbiadito, quasi illeggibile.
E osservavi in silenzio
se quella mia alzata di spalle
e lo scrollare con forza la testa
per un assoluto diniego
non fosse altro che un tuo riscatto.
Ti credevo una trappola,
ma eri una risorsa.
Osservo oggi ogni mio gesto,
ascolto ogni mia parola.
Sono consapevole del mio essere donna.
Sono consapevole delle mie diverse facce.
Mi guardo invecchiare e lo specchio
mi rimanda anche il tuo volto.
Ho scoperto la gratitudine, ma
non perché ora non ci sei più e
dei morti, si sa, si ricorda il meglio,
ma proprio perché alla fine ho capito
di essere cresciuta in un grande spazio.
Così ora non esito più nella vita
raccolgo errori e meriti,
amo come posso,
accetto rughe e stanchezza,
rincorro la preziosità di poter essere felice e
ti penso con complicità.
Noi due,
madre e figlia
per destino della vita,
in fondo ci siamo state utili.
Possiamo ora affidare
alle altre il nostro racconto,
un possibile ticket per l’esistenza
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