[con dipinti di Celeste Di Luca]
Geometriche passioni
Tra passione e geometria si svolge l’articolata raccolta “Gli occhiali di Spinoza”, di Daniela Monreale.
Viene da chiedersi: esiste tra le due uno spiccato dualismo?
La risposta della poetessa parrebbe affermativa, almeno a giudicare dal verso:
“ma solo l’Amore spezza i teoremi”.
Tuttavia
“Allora – mi dico – vorrei un piacere di geometrie”
attenua una dicotomia che, pur esistente, pare non escludere una composizione.
Le “geometrie”, dunque, possono essere fonte di “piacere”.
Un piacere disgiunto dall’amore?
La vivida affettività che attraversa l’intero testo non consente di propendere per questa tesi.
Il verso
“Essere nel silenzio”
è utile suggerimento.
Dal silenzio che non esclude l’essere emerge la lingua in tutti i suoi complessi aspetti: qualcosa di comune, perciò, anche tra elementi discordanti, è possibile riscontrare.
Siamo, insomma, di fronte a differenti fisionomie della natura umana.
Può la passione spegnere ogni razionalità o viceversa?
Forse in casi straordinari, ma non nella vita di tutti i giorni.
Razionalità e passione coesistono, convivono nei nostri gesti, nelle nostre parole: soltanto l’estraniarsi dalle vicende quotidiane, esercitando il pensiero in maniera slegata dai concreti contesti, consente l’emergere di una netta contrapposizione tra le due.
E se
“La poesia è il canale che collega finito ed Infinito.
Così si chiude il cerchio, a riunire due sorrisi”,
ciò può avvenire perché gli opposti sono “sorrisi” riuniti in un cerchio privo di fratture.
Un invito a comprendere, ossia a distinguere e includere nello stesso tempo, pare il senso profondo di un dettato poetico nato dall’intima esigenza di superare certe rigidità.
Siamo al mondo, viviamo: questo alla fine conta.
Certo, le distinzioni sono importanti, anch’esse fanno parte del nostro esistere, ma non dobbiamo cadere nell’errore di considerarle anelastici modelli.
Non meraviglia, perciò, la presenza di versi come
“Le mattonelle del pavimento
come soldatini in avanscoperta,
solcati senza pietà dalle macchine che a sera
portano a casa la malinconia
in un rombo diaccio di solitudine”,
ossia versi capaci di presentare oggetti ed emotività, “macchine” e sentimenti, distinguendo senza contrapporre.
Impegnata in riflessioni davvero feconde, precisa nel proporre pronunce la cui equilibrata musicalità a volte “s’increspa in scaglie di diamante”, Daniela convince per quel suo mirare direttamente al cuore del problema, per quell’accorgersi, con poetica sapienza, che mostrarlo è già molto e spiegarlo è impossibile.
Talvolta, pena cadere in espressioni prive di senso, occorre sapersi fermare, come lei.