Da ogni albero le sue forme scolpiva
per soffiarvi altra vita, e nuove storie.
Fuori se le portava sulle sbrogliate cinte
a tacchi acri e dolci.
E così si raccontava, se stesso promosso
in un dio su bianca carta. Preziosa
come quel latte nella tazza in smalto
che da bimbo custodiva, caldo, sognando della neve.
Di sbieco lo strapiombo, tanta la paglia per i campi intorno
in punto fuga dal suo terzo occhio.
Pagode luccicanti coi seni arsi dal girasole più giallo e più alto.
E il grigio degli ulivi non mentiva.
Acuto lo staglio, vaporoso il rosa:
Vedi la risposta dell’alba, la mano che dà al nuovo respiro?
Si domandava avvampando fuori dalle mura
dei camini la fuliggine.
Quanto il giorno durasse non gl’importava,
né se da qualche parte ci fosse un’arancia ad orologeria.
Nel tino ora viveva e invecchiava la sua spagnoletta riavvolta,
vena d’inchiostro a sgravarsi dall’arcaico dorso
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