(Intro)
“Riflessi d’un infranto coreAzzurra vita che non vieniRimescolo rintocchi alieniAl comico annottar dell’astroImberbe rimo al figliol prodigoDiscuto il flusso di Macao
D’improvvidi gitanti incognito E scortico il jeux noir che fu”.
(Pronti…)
I - Tartassata di rudimental sostento, impigrisco addolorata su guanciali d’emblema: torvi corvi, gufi stufi, spiagge amene, speme inferma, graduale discernersi di quel morbo garibaldino già sperimentato, monitorato, protocollato e d’indigenza assuefatto.
II - Avatar di Pleiadi scomposto, flusso di luna = flusso di vendetta, coprocoltura svizzera per ruminanti poveri, pieghe di selve zingare s’aggrappano al malcontento ritmico, sì! – ripeto adesso – si!, ritmi incalzanti ondeggiano all’imbrunir del sole.
III - Todeschità passate accusano il mio ceto corvino d’armeggii intimisti e contesti scarmigliati a sa+rabanda, invisi al fido nordico azzimato - scriminatura bieca ed introversa; mentre; magri d’autore, virgole codarde, capri, ischemie e godurie spettinate brillano al chiar di lunedì cadetto.
(…Via! )
Mal soppesando il futile ragguaglio
vivo di brezze attonite e sincere;
mostro ribrezzo al buco dello squaglio
ma -sperperando il fiato dell’alfiere-
domino a scala e carte quarantotto
chi mi incatena il blues con laccio edotto.
«Viene la rima viene la neve viene il tormento del tempo che fu.
Ecco la bambola subdola e greve, alza le veste e il boa non c’è più».
Ma, se non porto a tangere i budini
posso tramare accolite scommesse
vigili in groppa al re dei ciclamini
che mi riversa il the come piovesse;
Va colorando il cielo mattutino
scopro a pedali il fresco del viadotto
macino gruppi a zenzero e cumino
spero in un tango atroce e malridotto
tutta la mia simpatica attenzione
tutto il futuro cieco e inappagato
che si riscatta al buio del commiato.
Apre la donna il guscio dell’ombrello
sostituendo il falso al malcelato
prediligendo il duttile budello
al duro incarto a fungo del prelato.
Morde l’orecchio e il morso si fa guerra
simili affronti del passo carraio
dolce progetto, il seme cade a terra
e sfonda l’assoluto di Gennaio.
Catarifrango il premio dell’olfatto
mentre un canguro mastica il mio retto
aperitivo al nulla, e di soppiatto
vo’ spalancando il cor a un do di petto
che s’aggroviglia all’ugola del giorno
che mi vedrà ripetere la posa
da ascetica vedette a luci porno
(da fondo di bambù a bocca di rosa).
Mangia il mio pane, oh cimbro maledetto!
Segui chi tanto ardì e non fiatare:
so chi ti da cineserie nel letto
so chi lo fa e so anche come fare.
La geisha non sarò dei tuoi malanni:
infimo guasto al blocco del motore
si oppone al flusso estatico degli anni
si innalza un gemito
s’illumina e poi muore…
(Ponte )
¡Cosa sarà di me del sé del the di queste false anguille acciambellate non so differenziare tra abitacolo interconnesso e la predilezione per l’incontrastabilità acuita dal possesso fasullo sminuzzato di intemperanze incondizionate splash!
(Trio )
Quando il fallo farà forza, il fiore ferirà fulmini e coralli.
Mi estenua questa tanguerìa balda ed ubiqua, sembra una danza semplice ma quant’è potente, mi sbatte come schiaffo di tempesta.
Comignoli di gas, le stradine umide dei rigattieri, il colmo per un fioraio e la Senna che ghiacciata fomenta ingiuste parodie d’innocenza.
Se non smetto mi dissanguo.
Se non mi dissanguo crepo d’avarizia.
Prendere o lasciare: il gioco è fatto, le rime avute, il dado del cavallo al trotto è tratto e rifulge nella notte della nebbia dei portoni socchiusi.
(Finale )
Ciao, mon Breton che sbirci dall’Olimpo: ti ho conosciuto oggi, ti somiglierò mai?
Ti ingannerò per sempre, come l’attesa.
- Plin! -
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