Il Vesuvio... tra Arte e Poesia: un canto a due voci
Piccoli gesti, passi lievi che sfiorano il suolo, il sorriso discreto di chi non crede che per sentirsi situati nel cuore dell’esistenza occorra fare chiasso, strepitare al passaggio, affinché gli altri si accorgano che ci siamo e che - appunto per questo - qualcosa accade... Ornella Ricca: scarpe basse, capelli ricci, minuta, reagisce a modo suo alla concitazione della vita moderna. Lei prende tempo anche nel parlare, forse perché più di tanti è abituata all’ascolto. E le voci che ascolta di preferenza sono di quelle che per essere intese esigono attenzione. E silenzio...
Non l’ho ancora potuta osservare mentre dipinge, ma la immagino intenta come quando ascolta; e quello che vedo nelle sue figure - che sembrano emergere dalla “penombra dell’essere”, come ha osservato Riccardo Notte - potrebbe essere descritto come un processo cognitivo a ritroso che attraversa i miti (episodi, fasi, passaggi temporali della vita intemporale del mondo), per poi dissolverli ricondensandoli nello spessore primordiale del simbolo.
Prendiamo ad esempio i suoi lavori sul Vesuvio - riprodotti,insiemea testi poetici di Carlo Procope, nel bel volume L’ultimo Re (Cuen, Napoli 1996), presentato nel luglio 1997 alla Casina Vanvitelliana al Fusaro, in occasione di una personale di Ornella. Lo sguardo dell’artista mira a superare l’opacità della materia; ma senza violarla: il “gran cono” vulcanico è lì, nella solenne compattezza con cui ha attraversato i millenni; come scolpito in unospazio - questo sì - depurato da ogni connotazione geografica, a significarne l’appartenenza simbolicamente universale. Ma, attraverso la crosta solida, dal “colore della sera”, secondo la bella definizione di Carlo, esso scopre e svela ai nostri occhi i segni e le tracce di una vita archetipica che va oltre il tempo dell’uomo, e affinità segrete con altre forme e simboli universali che hanno dato vita e nutrito, per millenni, il nostro immaginario. Altrove, ai segni della sacralità del mito si sostituiscono quelli di un’umanizzazione che però non è mai empia, né arrogante, né immemore (come a ribadire che il “formidabil monte”, già cantato dalla voce immortale del Leopardi, non deve mai essere confuso con niente che possa essere preso o dato, o immesso sul mercato... ).
Vediamo così, di tra i vapori grigiastri in cui si stempera il bruno delle falde, le increspature tracciate dalle ere geologiche come rughe su un volto carico d’anni; poi una piccola piramide adagiata, quasi per un gioco di bimbi, ai piedi del Monte (ma, più in là, la stessa forma geometrica concepita dall’ingegno umano si erge arrogante a coprire quasi completamente l’opera eretta dalla natura). Qui uno zampillo incandescente ne percorre dall’interno tutta l’altezza, per proiettare nello spazio celeste dello sfondo una figura di mito... forse un grumo di energia primigenia; poi il Monte, con la cima accesa a mo’ di gigantesco cero natalizio. E, di nuovo, quella via di fuoco, che lo attraversa internamente, suggerisce l’idea di un’arteria che parta da un cuore di fiamma viva: “[...] un cuore profondo e forte”, nella visione poetica di Carlo.
Chiuso, alla fine, il libro di Ornella e di Carlo, ne inseguiamo con la memoria le immagini, pittoriche e poetiche, che continuano a parlarci del Vesuvio - Ultimo Re (di Napoli? d'Italia?) - come di una presenza misteriosa e familiare a un tempo. E viva: una maestà che credevamo sonnacchiosa, ma che una grande pupilla dilatata, in una delle figurazioni pittoriche di Ornella, ci fa sospettare vigile e attenta, forse temibile. Perché “[...] la sua quiete non è morte. E’ solo tempo di chiusura, di accumulo, di gravidanza. Tempo di preparazione per i giorni della distruzione e della creazione.” E perché “in verità”, afferma ancora uno dei testi di Carlo Procope, “il vulcano è simile a un vero artista”. E proprio come un artista, qualche volta “[...] fa il pazzo e poi si calma.“ E nella sua ira può sputare draghi di lava i cui flutti “[...] corrono nella valle// scivolando sui dorsi metallici// delle lave passate;// [...] scendono nelle campagne// cancellano terreni// trasformano rustici// in dimore sotterranee.” E “Quand’è furioso/ pure il mare s’allontana.”
Ma in fondo, l’antico sovrano“[...] non vuole altro che rispetto.” E rivediamo pietre laviche esposte come gemme, ma che in un racconto di Carlo si trasformano in “pietre per le pizze”, capaci di “trattenere il calore per molto tempo”; e vite antiche imprigionate e diventate fossili; poi la lunga teoria di schiavi-dannati che percorre l’ampio cerchio della base del Monte, e sembra un collier di corallo multicolore...
Così la visione artistica di Ornella Ricca, e il canto poetico di Carlo Procope, in un’epoca che inventa e consuma nuovi miti come fossero titoli azionari, si propongono come un baluardo contro la perdita di memoria che minaccia il senso del sacro. Quasi che laicità sia sinonimo di nuova onnipotenza anziché di misura : per chi già conosce il limite, e si sa grande abbastanza da sopportarlo.
Teresa Nastri
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