Sotto assedio - sospiro.
Mi arrendo - mi dico.
Poi, sotto l’ombrello del dubbio,
riprendo la partita a scacchi
la stessa che si gioca rigogliosa
nei campi di nebbia dell’esistenza.
A darmi scaccomatto,
la potenza vertiginosa
delle parole che si imparentano
prima e in un lampo si inimicano
e ruggendo fuggono.
Le parole tradiscono l’intenzione.
E non solo la mia.
Le antiche sono fuori moda.
Sfarfallano le nuove
come sciami di api impazzite
in cerca di un miele di morte.
Basterà a rimettere ordine
un’acchiappanuvole
o serve un’accademia filosofica?
Ci vuole un laboratorio che disegni
parole snelle, figlie delle scomparse,
vestite di grazia senza sfarzo
da stagionare nelle fessure
vuote, ma fresche e ventilate del cuore.
Che dica no alle parole definitive
un no all’arbitrio di parole eterne.
Che dica benvenute
alle parole in transito
comprese quelle del dolore
le parole pioggia e rugiada
arcobaleno e sole.
Che apra la porta anche
alle parole burrasca e acqua alta.
Che dica, venite, vi prego,
fate di noi un silenzio non offeso.
Fate dell’inutile nostro nulla
la culla d’una metamorfosi
il disegno che ignoriamo
e nemmeno sappiamo di sognare.
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