Pubblicato il 11/05/2008
Era claudicante, forse per la notte scomoda appena passata, per il freddo e per l’umido.
Lo copriva, fino ai polpacci, un cappotto beige, logoro e sporco. A piedi nudi calzava un paio di ciabatte infradito di gomma nera. Sotto il cappotto era nudo.
Esausto si avvicinava alle macchine la mano protesa e le labbra che dicevano qualcosa di inudibile – talvolta la sua bella e giovane mano indicava la bocca come a mostrare una necessità – qualcuno tirava giù il vetro e allungava uno spicciolo.
Era moro, forse dall’Oriente. In un altro mondo la sua pelle olivastra sarebbe stata profumata di saponi e ricoperta dalle più belle stoffe – forse desiderato da qualche passione segreta, ma i suoi occhi erano poveri di speranza e soltanto una pena profonda provava chiunque passava.
Era un povero credibile, il suo sguardo lo diceva, era inerme, rassegnato. Più in basso, ignudo come stava, non avrebbe potuto scendere.
Che altro potevo donargli se non un pianto interiore autentico e amaro che trascinava via la mia indifferenza?
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