Gelida e distaccata icona in cielo
così malmostosa non ti ho mai vista
eppure non ti ho mai giurato eterno amore
mai: non ho che me stesso ti dissi
a pallina ferma sul rosso e pari
che mi stavi addosso umbratile
palpito di brezza, alle nari profumo
di muschio bianco a sera
che chiamarla sera assurge a immaginario
distopico con quel vorticare di luci
prima afflosciantesi sudario, poi
sprigionantesi stroboscopici aculei
dolorosi agli occhi questuanti oblio.
Te lo dissi che di senno non mi era
ancora uscito un verso: ogni scheggia
folle s'inerpicava per l'erta del colle
ignoto, senza venirmene nulla
indietro, a parte una flebile
appena percettibile eco.
Ora che i versi
sono tanti, un labirinto indecifrabile
che non mi ci raccapezzo più, sempre
non ho altro che me stesso, balbettante
piombo di tra i denti, una poesia
sul ponte tra morte e morte, da scrivere
dalla finestra in alto e mirando in basso
bene nel mucchio: a che non ci sia
nessuno che insegua le mie ceneri
dicendo di loro che non sanno di piombo
anch'esse letali, negando altro motivo
se non l'assurdo ai tuoi occhi
distanti.
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