Pubblicato il 25/10/2009 10:10:13
Non so come né perché quella mattina d’autunno dell’anno 2001 mi vennero in mente le tre profezie di nonno Savio. Forse per il fatto che avevo letto, giusto qualche giorno prima, che nel trapasso dal regime monetario della Lira a quello dell’Euro, l’unità di conto europea, nelle abitudini dei consumatori italiani, andava sostituendo le vecchie mille lire, piuttosto che coprire gli acquisti corrispondenti alle 1.927,36 del cambio ufficiale che ci era stato imposto.
O forse era stato un refolo nostalgico e malinconico di quella mattina che preannunciava, in modo sottile e misterioso, la fine del bel tempo, a smuovere le icone spirituali degli avi che riposano nella memoria dell’anima di ciascuno di noi. Così, quella mattina, era emersa dai recessi della mia mente la figura della nonna paterna. Era stata infatti proprio nonna Maria, la mamma di papà Carmelo, che molti anni addietro mi aveva parlato delle tre profezie di nonno Savio. L’occasione era stata una delle visite che io le facevo nella casa di riposo di Selargius, dove la vecchina passò gli ultimi anni della sua vita. Ricordavo bene quell’ultimo sabato di settembre del 1971. Mi raggiunse nel parlatorio, come sempre. E come ogni volta mi salutò con una carezza della mano destra sulla guancia, accompagnata dalla solita frase in siciliano, appena sussurrata sulle labbra ancora fresche; un sussurro che era insieme una conferma di ciò che la sua vista ormai scarsa, le aveva non di meno fatto intravedere entrando in parlatorio:
- “Sarbaduri di Carmelo sei!”
Dopo i ringraziamenti per la busta di pere che mio padre regolarmente mi incaricava di portarle, mi faceva sedere, sedendo a sua volta, su una sedia di legno alta e impagliata, presso un tavolo su cui poggiava la mia busta con la frutta. Terminati i convenevoli di rito, quella sera mi chiese conferma del ritorno all’ ora solare. Si fece spiegare bene, per di più d’una volta, come funzionava questo cambio di conteggio dell’ora, chiedendomi se fosse vero che domani ci sarebbero state 25 ore anzicchè le consuete, normali 24 ore. Si scusò per la sua “ svagatezza”. Usò proprio questo termine, nel suo dialetto samperoto che io capivo abbastanza bene, pur non riuscendo a parlarlo, per mancanza di pratica.
- “ Sto diventando assai svagata; deve essere una malattia di famiglia. Anche mio padre, Domenico Formica e mio nonno, Savio Formica, con l’età si svagarono! Tuo padre ti parlò di suo nonno Domenico e di mio nonno Savio ?”- aggiunse poi puntandomi gli occhi velati addosso.
Le dissi che sapevo qualcosa del bisnonno Domenico, ma che nulla sapevo di questo mio trisavolo, Savio, se non per averlo sentito nominare, una o due volte da mio padre.
–“ Questo mio nonno”- riprese nonna Maria – “ trascorse gli ultimi anni della sua vita a casa mia; tutti dicevano che fosse ammattito, anche se io lo ricordo solo un po’ originale, quasi cieco e a volte assente, svagato, per l’appunto. E’ vero però che ripeteva sempre, come una cantilena senza senso, soprattutto tre cose: ' Ricordatevi che sarà trascorso da poco questo secondo millennio dell’era di Cristo, che voi vedrete giorni di 25 ore, le vostre ricchezze dimezzate e i bambini nascere da due donne!'". Mia nonna Maria, a complemento di quel curioso aneddoto, precisò che suo nonno Savio, si meritava per quelle assurdità incomprensibili, le bonarie prese in giro dei passanti, ai quali rivolgeva con enfasi profetica le sue predizioni, talvolta levandosi in piedi all'improvviso, durante le quiete sere che trascorreva all'ombra della casa, seduto sull'uscio a meditare Dio solo sapeva cosa, con lo sguardo perso nel vuoto. E che spesso concludeva la sua filippica rimarcando l'ultima delle tre profezie, sollevando l'indice e il medio della mano destra e concludendo a voce ancora più alta: 'Due donne! Capiste? Senza masculu e senza patri!!!'
Come dicevo, quella mattina d’autunno d’inizio millennio, nonostante il bel sole d’ottobre, si respirava aria di inverno, a ridosso di novembre ed io mi ero ripromesso, come d’abitudine, tra le cose da fare, una visita dalla mia parrucchiera di fiducia.
- “ Cumenti andausu, su dottori?” – Mi fece la signora Tecla, mentre mi sistemava con le dita sottili e abili l’asciugamano nel colletto. Risposi con formule di circostanza. Com’era tacita intesa tra noi, la conversazione non doveva essere impegnativa. Infatti riprese a parlare seguendo un suo filo personale di pensiero. Ad un certo punto entrò una signora, sorprendendosi di trovare tutto il personale impegnato e sottolineando comunque la sua puntualità.
- ” Veramente sei in ritardo esattamente di un’ora, mia cara!” La corresse, seppure giovialmente la titolare.
- “Io? Quando mai?” – riprese la cliente, più indignata che sorpresa.
- “ Hai messo a posto le lancette del tuo orologio?” – replicò la signora Tecla, in tono tranquillo, continuando ad occuparsi dei miei capelli.
- “ L’ora legale!” – esclamò l’anziana cliente battendosi la mano nella fronte, illuminata da un lampo fugace.
- “Non ti preoccupare!” – la rincuorò subito la parrucchiera- “ Ho quasi finito con questo signore. Accomodati pure, intanto”.
- Peccato per queste giornate lunghe e luminose che stanno per salutarci! Non è vero su dottori?”- aggiunse poi rivolta a me.
- “Veramente la giornata più lunga dell’anno è quella di oggi, che dura ben 25 ore!”- disse un’altra cliente che sembrava non stesse neppure ascoltando il discorso.
- Sì, d’accordo”- ribatté la sig.ra Tecla cercando di non contrariarla troppo apertamente- “però indubbiamente, da oggi, il buio arriverà prima, facendoci sembrare le giornate più corte”.
- “Eh, già!” – riprese quella, incoraggiata dal tono solidale della parrucchiera- “D’altronde abbiamo portato indietro le lancette dell’orologio di un’ora, stanotte alle tre!”
- “Insieme alle lancette, mi sembra che qui stia girando all’indietro anche il cervello di certi politici!” – saltò su un altro cliente, evidentemente contrariato da quel cambio d’orario che, pur se soltanto di un’ora e limitatamente a due giorni all’anno, avevo letto che scombussolava l’orario biologico di tanta gente!
- “ E perché mai, signor Bruno?” – lo stuzzicò la parrucchiera, che le chiacchiere del suo salotto le sapeva attizzare meglio di un fabbro il suo fuoco.
- “E me lo chiede pure?” – fece di rimando l’uomo, in unn tono a metà tra l'indignazione e l'esasperazione. Con la coda dell’occhio notai che era un signore di una certa età! – “La mia pensione vale esattamente la metà rispetto all'anno scorso; mi cambiano l'orario, inventandosi giorni di 25 ore ed in più leggo sui giornali di donne autorizzate a farsi i figli da sole, senza la collaborazione dell'uomo! Non so se mi spiego?
- “Che sarà mai?” – interpose la signora che era arrivata in ritardo sull’orario solare ripristinato. – “Ma non l’ha letto che da qualche parte, forse in Olanda, in Spagna o addirittura in America, si sposano uomini con uomini e donne con donne e così ottengono il diritto di adottare i bambini orfani che diventano loro figli a tutti gli effetti? Ma ci rendiamo conto o no? Un figlio che si ritrova due genitori dello stesso sesso?
- “E lei si scandalizza per così poco?”- ribatté la mia parrucchiera, levandomi l’asciugamano dal collo e spazzolandomi abilmente giacca e pantaloni. – “Glielo dica lei, su dottori, che oggi ci sono figli che hanno due padri e una madre! Oppure due madri e un padre. Non adottivi, ma naturali!”
Preso così per i capelli (si fa per dire), dovetti dire anch’io la mia e raccontai di quella causa da me seguita in Tribunale dove un padre anagrafico, pur avendo acconsentito ad una paternità con inseminazione eterologa, indispettito dalla sopravvenuta separazione, aveva agito in giudizio contro la moglie per il disconoscimento del figlio che, essendo nato da un embrione formato in provetta dagli spermatozoi di un donatore (seppure da un ovulo della moglie medesima), non poteva certo dirsi figlio suo, quantomeno da un punto di vista strettamente biologico e comunque tale non poteva risultare, comparando le analisi del DNA che vennero disposte, alla luce di un sistema giuridico antiquato. La questione giuridica era risultata ancor più complicata per il fatto che l’embrione era stato trapiantato nell’utero preso “in affitto” da un’altra donna successivamente alla fecondazione in vitro. Inoltre, sembrava allo stato degli atti, che la Banca del seme si rifiutasse di dare le generalità del donatore, che aveva preteso l'anonimato ed una liberatoria per eventuqali, future paternità! Per cui quel bimbo rischiava di crescere proprio senza padre.
Lanciata quella bomba, lasciai con un cenno di saluto il salone, diventato ormai una bolgia, peggio di uno studio televisivo durante un talk-show. La giornata adesso era leggermente meno fredda. Respirai forte.
Beh, se non altro adesso sapevo che anche il mio trisavolo Savio, fra tanta gente più o meno illustre d’ogni tempo, era stato ingiustamente considerato pazzo dai suoi contemporanei.
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