Giugno 1979
Non riusciva a vederne il volto, il che la inquietava.
La fiamma della candela creava un alone di luce debole ma sufficiente a illuminare il cristallo della sfera e la superficie liscia del teschio troppo vicino al suo braccio. Più in là, al centro della saletta ricavata sotto il tendone, sopra le braci incandescenti di un focolare, sobbolliva un preparato che da lontano le sembrava mercurio liquido, i cui vapori acri e pungenti, confondevano i titoli dei volumi impilati su un vecchio baule in quercia.
Le voci esterne giungevano fioche, attutite dai pesanti drappi tutt’intorno e dalla lenta nenia che la donna salmodiava in uno strano idioma.
- Sei qui per curiosare nella mia dimora o nel tuo futuro? –
- Oh, io… - Betty distolse in fretta lo sguardo da una teca in cui le sembrava che qualcosa si muovesse e lo rivolse alla figura seduta davanti a lei.
Non capiva se fosse giovane o anziana. La voce era solo un sussurro basso e vagamente roco e il mantello di velluto verde cupo la avvolgeva soffice e ampio. Il capo era rintanato nelle profondità del cappuccio bordato d’intricati ricami dorati.
- Quale ragione ti ha condotto qui? –
Betty sorrise ironica riprendendo coraggio – E lo chiede a me? È una fattucchiera, no? Dovrebbe saperlo da sola! – incrociò le braccia evitando però di guardare le orbite vuote del teschio. Gliel’avrebbe fatta vedere lei! L’avrebbe smascherata, lei e i suoi stupidi trucchi! Quelle saccenti delle sue amiche, là fuori, si sarebbero accorte che erano tutte fesserie!
- Hai la lingua di un camaleonte e il cervello di una zanzara –
La ragazzina la osservò accigliata. La stava offendendo forse?
- Tra poche lune incontrerai molti volti nuovi, ma sfoglierai pagine già vedute –
- Davvero? – la donna annuì – E quanti anni ho? Sentiamo! Come mi chiamo? Dove abito? Dove sarò tra… diciamo dieci anni? Incontrerò uno ricco da sposare? Vivrò bella e felice? Eh? –
La donna sfiorò con una mano guantata la sfera di cristallo, ma Betty dovette restare delusa, nessuna luce opalescente la illuminò. La lampadina doveva essersi fulminata, sogghignò tra sé. Ma per un breve istante le parve di scorgere riflesso nella sfera il viso della veggente.
Era splendida. Capelli ramati, occhi verdi e la bocca piccola che avrebbe voluto per sé. Sorrise, era riuscita a vederne il volto nonostante il mantello.
- Sei certa di voler violare l’ignoto del domani? –
- Sì, perché? Non è capace, vero? –
- Conoscere il Futuro può condizionare il Presente –
- Figuriamoci! – Betty si strinse nelle spalle incurante.
- Bene. Sappi però che un giorno ricorderai il mio monito – dal calderone una bolla scoppiò facendo trasalire la ragazzina e schizzando sulla sabbia del pavimento - Cara Elisabetta Enrica, diciassette anni d’insolenza, una piccola casa vicino al fiume in cui hai rischiato di annegare dodici anni fa, un piccolo sole blu sul polso… sinistro, che i tuoi vedranno solo tra due settimane e… -
- Sì, sì, va bene! Ma queste sono cose che può averle riferito qualcuno! – Betty si tirò su la manica mostrando il tatuaggio impresso sulla sua pelle due giorni prima - Ora mi dica qualcosa che non so, che non può sapere nessuno! Avanti! –
La veggente scosse lentamente il capo - Dopo una frattura alla gamba destra verso i venticinque anni, in montagna, tra dieci anni, festeggerai davanti a delle macerie insieme a molta gente e getterai al vento un’occasione di felicità –
Betty si mosse sulla sedia con una smorfia sarcastica, ma di nuovo colse fugacemente il volto della donna riflesso sulla curva ialina. Sbatté le palpebre ripetutamente mentre un brivido gelido le correva rapido lungo la schiena.
Era orripilante. E inspiegabile. Il volto fine e giovane di poco prima era svanito e ora il viso orribile di una megera centenaria, segnato da una voglia bruna su una guancia, solcato da rughe profonde e imbruttito da un’espressione arcigna, sembrava spiare le sue reazioni dalla sfera. Non poteva essere la stessa persona! Eppure lei non si era distratta, non c’era stato tempo per uno scambio.
Con gli occhi sbarrati, suo malgrado, Betty si alzò per andarsene.
- La finestra sul tuo futuro è ancora aperta –
- Non voglio sapere altro. E poi io non so sciare, non potrò rompermi una gamba – la ragazzina arretrò intimorita.
- A dodici lune dal nuovo millennio, realizzerai il desiderio che hai espresso oggi. Ma lo stringerai tra le dita come un pugno di sabbia –
Betty si affrettò all’uscita dell’antro, ma la voce della veggente la gelò.
- E riprenditi la moneta falsa che hai lasciato come obolo al tuo ingresso qui. Non vorrei dovertela restituire, un giorno –
Nel luglio di quello stesso anno, Betty dovette fare da baby sitter al cugino di quattro anni come punizione per il tatuaggio; fu bocciata e dovette ripetere il quarto anno di scuole superiori. Rammentò per qualche giorno le previsioni della veggente, ma si raccontò che erano solo coincidenze.
Nel 1987, archiviata l’estate di otto anni prima, partì con le amiche per una settimana bianca, anche se inconsciamente a sciare non aveva mai imparato. Uno sciatore le piombò addosso cadendole pesantemente sulla gamba destra. Quaranta giorni col gesso.
Solo due anni più tardi, in una delle tante fotografie scattate durante e dopo il crollo del muro di Berlino, c’era anche Betty, sorridente e impolverata. Era accanto ad un tipo più alto di lei di una spanna buona, che lei piantò in asso dopo un paio di mesi perché “gli idealisti guadagnano poco”.
Febbraio 1999
Il marmo del sagrato, lucido per via del ghiaccio lentamente sciolto dal tiepido sole di febbraio fu fatale.
Sorridendo al fotografo mentre stringeva a sé la giovane sposa da cui trentacinque evidenti primavere lo separavano, Aristide, imprenditore navale e un patrimonio a nove zeri, scivolò malamente sullo scalino bagnato e in un attimo Lisa (Betty era ormai fuori moda) restò vedova e miliardaria.
Mentre un medico emerso dalla folla d’invitati scuoteva il capo, Lisa assunse un’espressione di profondo dolore alleviato solo dal tintinnio metallico e dal frusciare di filigrana che le sembrò di udire.
- Chiederemo l’annullamento! –
La minaccia stentorea di un congiunto del fu Aristide infranse la visione di Lisa come un sasso contro un vaso Ming.
E lei rammentò.
“Realizzerai il tuo desiderio, ma lo stringerai come un pugno di sabbia”.
E no! Non aveva mica faticato tre anni per lasciarsi portare via tutto da quegli avvoltoi!
Aveva sorriso, partecipato a noiosissime cerimonie, finto di adorare un esercito di nipotini strepitanti e appiccicosi. Aveva perfino digerito l’idea di non avere tutta per sé la casa a Portofino pur di far capitolare Aristide, celibe e senza figli.
Il patrimonio era suo di diritto! La fattucchiera doveva essere miope o la sfera era appannata!
Anche se, in altre occasioni…
Scacciò l’idea scuotendo convinta la testa nello studio dell’avvocato, un ottuagenario segaligno e un po’ duro d’orecchi.
- Signora, gli affari della buon’anima di suo marito sono gestiti dalla Compagnia. Non si dia pensiero – le batté bonario sulla mano – Dunque, per disposizioni del de cuius, il testamento potrà essere aperto solo tra una settimana dal notaio presso cui è depositato. Non dovrebbero sussistere sorprese, lei è ora l’unica erede legittima e se terzi dovessero impugnare il testamento, io le sarò accanto per vincere questa
battaglia! – assicurò con vigore.
Furono giorni di affannose ricerche. Un ipotetico nuovo testamento era il bottino ambito da mani avide che frugavano nelle ville, nello yacht, nelle auto e dovunque ci fossero pertugi sufficientemente segreti.
Saltarono fuori tre testamenti, l’uno diverso dall’altro e tutti e tre fasulli e dalla gioventù del miliardario riemersero un figlio disperso mai riconosciuto, una nipote rapita e una moglie iberica sposata a Las Vegas.
Lisa stava per impazzire. Non credeva di dover fronteggiare un’armata agguerrita fino ai denti, scaltra e priva di scrupoli.
Al termine di quella lunghissima settimana il notaio sedeva guardingo a capotavola, gli occhiali bordati d’oro sulla punta del naso e le mani ossute strette attorno al testamento. Si schiarì la voce:
“1 febbraio 1999
Io, Aristide De Carlis, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali (anche se molti di voi tenteranno di dimostrare il contrario), alla presenza del mio amico, il notaio Venceslao Corsi (cui lascio solo la mia gratitudine, avendone onorato il lavoro con estrema munificenza per molti anni), redigo le mie ultime volontà:
- ai miei nipoti, ai loro coniugi, ai miei pronipoti, ai dipendenti, ai domestici e alla mia segretaria va solo la mia gratitudine per aver palesato per tempo la loro reale natura, impedendomi così di compiere dei grossolani errori di giudizio;
- alla mia dolcissima Lisa (che tra pochi giorni diverrà
mia moglie e con cui spero di trascorrere lunghi anni felici), lascio la gioia che sono certo lei condividerà, di aver destinato un terzo dell’intero patrimonio a opere di beneficienza.
I liquidi restanti, mobili, immobili, titoli, nonché l’impresa appartengono di diritto a lei sola che potrà disporne non appena saranno sciolti dalle ipoteche che gravano purtroppo su di essi.
In fede
Aristide DeCarlis
Cadde il silenzio, sguardi increduli rimbalzavano da un volto all’altro, finché Lisa non seppe contenersi.
Una risata dirompente, drammatica rimbombò sulla tappezzeria.
- Vi siete accaniti tanto per cercare di avere solo il mitico pugno di mosche! –
“E tu invece per stringere un pugno di sabbia” le sussurrò una voce nella testa.
Era così. L’amara, stridente verità era che dopo tutto l’impegno profuso per conquistare il benessere e la ricchezza, Lisa si ritrovava solo coperta di debiti.
- Ora basta! Fuori da casa mia! Sciò! –
Restò accanto al cancello della villa assicurandosi che tutti se ne andassero, mentre come sbucata dal nulla, una figuretta malferma avanzava lungo il marciapiede. Si fermò solo un istante davanti a lei scrutandola.
- Tieni Betty. Conservala come amuleto –
Lisa perplessa guardò la donna allontanarsi, poi abbassò gli occhi sul palmo aperto.
Un urlo fragoroso le sgorgò dalla gola.
Era la moneta falsa che aveva cercato di rifilare vent’anni prima alla Dama in Verde.
Fine…
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