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Raccolta di testi in prosa di Antonella Parisi C.
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Con gli occhi di Socrate

Osservavo il cielo grigio da dietro il vetro della finestra accanto a cui mi ero raggomitolato. Stava per piovere, me lo sentivo nelle orecchie.

Quando scorsi quel tipo accostarsi al cancelletto di ferro verde fiancheggiato da ortensie, seppi che era foriero di guai. Aveva le guance penzoloni come quelle di un bulldog, l’aria affettata di un barboncino e l’andatura sgraziata di un carlino. E una spessa valigetta nera nella mano sinistra. L’indice destro era premuto impertinente sul campanello.

Tentai di dissuadere Armida dall’invitarlo a entrare, le indicai la radio, dove a quell’ora ascoltavamo insieme Misteri al crepuscolo, ma fu inutile. Un attimo e fu in salotto. E colsi il suo sguardo bieco su di me e il suo odore sgradevole. Mi misi a sedere guardingo e sulla difensiva.

La mia Armida era una donnina sveglia e di rara intelligenza, ma talvolta fin troppo affabile. Così che qualche sempliciotto, vedendola avvolta nei suoi delicati abiti d’altri tempi, con un cammeo appuntato sul colletto e l’incedere quieto dell’età, pensava talvolta di poterla ingannare. Poveri sciocchi!

- Guardi signora, noti la purezza di queste gemme! – stava suggerendo il tipo canino ad Armida mentre lo scintillio di un rubino catturava il riflesso delle mie pupille – Perfetto per una sua nipotina, vero? –

Armida non aveva nipotine urlanti che tentavano di afferrarmi e strapazzarmi. Era sempre stata una rivoluzionaria e aveva allevato da sola una figlia che ora girava per il globo a scattare nei musei strane fotografie che poi spediva alla madre.

- E questa perla nera! Su di lei sarebbe sublime! –

Armida con lo sguardo sereno e un sorriso cordiale annuiva, mentre all’ultima luce del tramonto sollevava uno zaffiro per ammirarne i dettagli.

E colsi quella luce nei suoi occhi.

- Solo per lei cara signora, un finanziamento senza pari e una settimana per scegliere in tutta tranquillità dalle schede tecniche che le lascerò! – che entusiasmo! – E’ sufficiente solo un piccolo acconto per bloccare questi prezzi straordinari! –

Armida sorrise ancora e il suo sguardo era ora quello di una bambina incuriosita – E perché non posso scegliere ora tra le gemme che ha con sé? –

- Signora mia! Si fidi! Questo è solo un campionario di poco valore, da dimostrazione. Comprenderà, non posso andare in giro con pezzi esclusivi… -

- Aah! – Armida annuì comprensiva. Poi il suo sguardo incrociò il mio ed io sbadigliai partecipe acciambellandomi sul davanzale con gli occhi fissi sul ciarlatano dall’aspetto di canis domesticus – Gradisce un caffè? –

- Con estremo piacere, signora! Purché non le arrechi disturbo! –

Armida mi lasciò di guardia nel salotto, permettendo all’imbonitore di studiare l’ambiente e capire che la consolle dell’Ottocento era autentica, che il tappeto proveniva davvero dalla lontana Persia, e conoscendo Armida, forse era perfino quel tappeto, ma sì, mi avete inteso, quello volante, vero e originale… Dicevo, che la balaustra del caminetto era in marmo raro, che la lista sul tavolino da tè era ricamata a mano e che ogni piccolo dettaglio suggeriva che Armida era disposta a spendere per circondarsi di rare e preziose meraviglie.

Anche il mio cuscino era caldo, morbido e imbottito di soffici piume. Forse in un angolino, un po’ logorati dal tempo e dalle mie unghie, quei curiosi segni ricamati erano il mio nome, chissà!

Poco prima che Armida rientrasse in salotto con i suoi passi

delicati, saltai sulla mia poltrona, giusto accanto alla sedia del furfante e di nuovo il suo sguardo sinistro si appuntò su di me. Presi a fissarlo intensamente, senza distogliere l’attenzione neppure per un istante e dopo meno di un minuto avvertii il suo disagio. Tentò di farmi scendere dalla poltrona, mi spinse in malo modo afferrandomi per la collottola, ma appena Armida arrivò col caffè finse di volermi fare due moine. Io fui più lesto, ovviamente.

Con un solo balzo flessuoso gli fui addosso. Dalla sua gola emerse un grido ben poco dignitoso mentre serrava gli occhi e agitava le mani pallide scottate dal caffè bollente. La cravatta rigata in giallo e blu (sì, lo so che voi pensate che noi distinguiamo solo un paio di colori. Ma ne siete davvero persuasi? In fondo non osservate il mondo con i nostri occhi…), dicevo, la cravatta e la camicia bianca erano ora personalizzate da una vivace macchia del caffè forte e speziato di Armida.

- Socrate, birbantello! Il nostro ospite! – il bonario e blando rimprovero di Armida irritò il tipo canino forse più della mia irruenza.

- Ma che diamine… - dovette controllarsi. Mai palesare la furente avversione che si nutre per il beniamino con la coda di un’anziana signora. Specie se l’oscuro intento è raggirare vilmente la signora in questione…

- Lo perdoni, sa! È solo un po’ bizzarro alle volte –

- Sì, certo! – occhio al tono, mi raccomando!

- Prego, la sala da bagno è da questa parte – l’invito di Armida, così gentilmente sollecito, così cortese, non si poteva ignorare. Ciò non di meno, io scorsi l’occhio torvo dell’uomo indugiare malevolo su di me. Sciocco umano!

- Non occorre signora, grazie –

- Ma la sua mano è graffiata. Non è prudente, Socrate trascorre tanto tempo in giardino, a caccia… -

- Ufff! Che creatura dinamica! – si scrutò la mano. Potevo distinguere nei suoi occhi il sospetto agghiacciante che migliaia di piccole vite nocive si stessero moltiplicando fatalmente nel suo sangue. Per un breve istante lo vidi osservare Armida, dovette giudicarla una donnetta assolutamente inoffensiva e discretamente tocca – E’ di là il bagno? –

Fece ritorno pochi minuti più tardi, il ciarlatano con passo da carlino, e il suo sguardo corse rapace alla valigetta perfettamente chiusa e a dei fogli su cui voleva la firma di Armida.

- Dunque, cara signora – si fregò le mani non visto che da me – qui c’è la penna. Come le dicevo poc’anzi, basta una sua firma su una piccola cambiale e il gioco è fatto! Mi perdoni l’espressione colorita –

- Sì, ma come posso scegliere guardando solo delle foto? – si ostinò Armida con tono vagamente infantile – Come posso sapere se le pietre da acquistare sono belle e di qualità? -

- Signora! – ora il tipo sfoderò un’insopportabile voce di sufficienza per sconfiggere l’ottusità cocciuta di una piccola anziana. Per le mie orecchie iniziava a disperare – Le do la mia parola! Deve capire che sono gemme selezionate, solo per pochi intenditori, provenienti da luoghi impervi e… -

- Ho capito! Vuol prendermi per il naso, forse? – Armida gli puntò contro l’indice mentre la sua voce s’incrinava – Certe pietre sono vendute nelle gioiellerie, non da un girovago qualsiasi. Lei vuol raggirare una povera donna sola e indifesa! Si vergogni! –

- Ma signora! Che cosa va a pensare? – il furfante si alzò rubicondo in viso.

- Penso che lei volesse turlupinarmi! Un’anziana debole e inerme! – una grossa lacrima d’ira scivolò lungo la guancia di Armida – Ma ora chiamo i Carabinieri e dovrà dar conto a loro! –

- Ma no, lei si sbaglia! E poi vede? Sto andando via! Che bisogno c’è di scomodare quei bravi signori?  - il manigoldo si affrettò a raccogliere la mercanzia, arraffò i documenti e filò verso la porta come inseguito da un fulmine – E comunque ha perso un’occasione, creda! –

Rise Armida. La sua risata allegra e contagiosa come il morbillo e mi accarezzò la testa.

- Socrate, tesoro, sei impagabile! –

Quel pomeriggio Armida faceva scintillare davanti alla fiamma del caminetto lo zaffiro che aveva individuato a colpo d’occhio. Era grande come una nocciola e blu come un cielo senza stelle.

- Che sprovveduto, vero amico mio? Mostrare pietre autentiche e propinare della paccottiglia per corrispondenza. Ma poi ha incontrato noi, Socrate, ed è caduto nel suo stesso tranello – mi avvicinò la pietra – Bella, vero? Ora però diamo una sbirciata alle foto di Amanda – mi strizzò l’occhio, complice – pare che a Bangkok abbiano esposto la Fiamma d’Oriente… -


Id: 4524 Data: 24/03/2019 19:21:46

*

La Dama in Verde

Giugno 1979

Non riusciva a vederne il volto, il che la inquietava.

La fiamma della candela creava un alone di luce debole ma sufficiente a illuminare il cristallo della sfera e la superficie liscia del teschio troppo vicino al suo braccio. Più in là, al centro della saletta ricavata sotto il tendone, sopra le braci incandescenti di un focolare, sobbolliva un preparato che da lontano le sembrava mercurio liquido, i cui vapori acri e pungenti, confondevano i titoli dei volumi impilati su un vecchio baule in quercia.

Le voci esterne giungevano fioche, attutite dai pesanti drappi tutt’intorno e dalla lenta nenia che la donna salmodiava in uno strano idioma.

- Sei qui per curiosare nella mia dimora o nel tuo futuro? –

- Oh, io… - Betty distolse in fretta lo sguardo da una teca in cui le sembrava che qualcosa si muovesse e lo rivolse alla figura seduta davanti a lei.

Non capiva se fosse giovane o anziana. La voce era solo un sussurro basso e vagamente roco e il mantello di velluto verde cupo la avvolgeva soffice e ampio. Il capo era rintanato nelle profondità del cappuccio bordato d’intricati ricami dorati.

- Quale ragione ti ha condotto qui? –

Betty sorrise ironica riprendendo coraggio – E lo chiede a me? È una fattucchiera, no? Dovrebbe saperlo da sola! – incrociò le braccia evitando però di guardare le orbite vuote del teschio. Gliel’avrebbe fatta vedere lei! L’avrebbe smascherata, lei e i suoi stupidi trucchi! Quelle saccenti delle sue amiche, là fuori, si sarebbero accorte che erano tutte fesserie!

- Hai la lingua di un camaleonte e il cervello di una zanzara –

La ragazzina la osservò accigliata. La stava offendendo forse?

- Tra poche lune incontrerai molti volti nuovi, ma sfoglierai pagine già vedute –

- Davvero? – la donna annuì – E quanti anni ho? Sentiamo! Come mi chiamo? Dove abito? Dove sarò tra… diciamo dieci anni? Incontrerò uno ricco da sposare? Vivrò bella e felice? Eh? –

La donna sfiorò con una mano guantata la sfera di cristallo, ma Betty dovette restare delusa, nessuna luce opalescente la illuminò. La lampadina doveva essersi fulminata, sogghignò tra sé. Ma per un breve istante le parve di scorgere riflesso nella sfera il viso della veggente.

Era splendida. Capelli ramati, occhi verdi e la bocca piccola che avrebbe voluto per sé. Sorrise, era riuscita a vederne il volto nonostante il mantello.

- Sei certa di voler violare l’ignoto del domani? –

- Sì, perché? Non è capace, vero? –

- Conoscere il Futuro può condizionare il Presente –

- Figuriamoci! – Betty si strinse nelle spalle incurante.

- Bene. Sappi però che un giorno ricorderai il mio monito – dal calderone una bolla scoppiò facendo trasalire la ragazzina e schizzando sulla sabbia del pavimento - Cara Elisabetta Enrica, diciassette anni d’insolenza, una piccola casa vicino al fiume in cui hai rischiato di annegare dodici anni fa, un piccolo sole blu sul polso… sinistro, che i tuoi vedranno solo tra due settimane e… -

- Sì, sì, va bene! Ma queste sono cose che può averle riferito qualcuno! – Betty si tirò su la manica mostrando il tatuaggio impresso sulla sua pelle due giorni prima - Ora mi dica qualcosa che non so, che non può sapere nessuno! Avanti! –

La veggente scosse lentamente il capo - Dopo una frattura alla gamba destra verso i venticinque anni, in montagna, tra dieci anni, festeggerai davanti a delle macerie insieme a molta gente e getterai al vento un’occasione di felicità –

Betty si mosse sulla sedia con una smorfia sarcastica, ma di nuovo colse fugacemente il volto della donna riflesso sulla curva ialina. Sbatté le palpebre ripetutamente mentre un brivido gelido le correva rapido lungo la schiena.

Era orripilante. E inspiegabile. Il volto fine e giovane di poco prima era svanito e ora il viso orribile di una megera centenaria, segnato da una voglia bruna su una guancia, solcato da rughe profonde e imbruttito da un’espressione arcigna, sembrava spiare le sue reazioni dalla sfera. Non poteva essere la stessa persona! Eppure lei non si era distratta, non c’era stato tempo per uno scambio.

Con gli occhi sbarrati, suo malgrado, Betty si alzò per andarsene.

- La finestra sul tuo futuro è ancora aperta –

- Non voglio sapere altro. E poi io non so sciare, non potrò rompermi una gamba – la ragazzina arretrò intimorita.

- A dodici lune dal nuovo millennio, realizzerai il desiderio che hai espresso oggi. Ma lo stringerai tra le dita come un pugno di sabbia –

Betty si affrettò all’uscita dell’antro, ma la voce della veggente la gelò.

- E riprenditi la moneta falsa che hai lasciato come obolo al tuo ingresso qui. Non vorrei dovertela restituire, un giorno –

 

Nel luglio di quello stesso anno, Betty dovette fare da baby sitter al cugino di quattro anni come punizione per il tatuaggio; fu bocciata e dovette ripetere il quarto anno di scuole superiori. Rammentò per qualche giorno le previsioni della veggente, ma si raccontò che erano solo coincidenze.

Nel 1987, archiviata l’estate di otto anni prima, partì con le amiche per una settimana bianca, anche se inconsciamente a sciare non aveva mai imparato. Uno sciatore le piombò addosso cadendole pesantemente sulla gamba destra. Quaranta giorni col gesso.

Solo due anni più tardi, in una delle tante fotografie scattate durante e dopo il crollo del muro di Berlino, c’era anche Betty, sorridente e impolverata. Era accanto ad un tipo più alto di lei di una spanna buona, che lei piantò in asso dopo un paio di mesi perché “gli idealisti guadagnano poco”.

 

Febbraio 1999

Il marmo del sagrato, lucido per via del ghiaccio lentamente sciolto dal tiepido sole di febbraio fu fatale.

Sorridendo al fotografo mentre stringeva a sé la giovane sposa da cui trentacinque evidenti primavere lo separavano, Aristide, imprenditore navale e un patrimonio a nove zeri, scivolò malamente sullo scalino bagnato e in un attimo Lisa (Betty era ormai fuori moda) restò vedova e miliardaria.

 

Mentre un medico emerso dalla folla d’invitati scuoteva il capo, Lisa assunse un’espressione di profondo dolore alleviato solo dal tintinnio metallico e dal frusciare di filigrana che le sembrò di udire.

- Chiederemo l’annullamento! –

La minaccia stentorea di un congiunto del fu Aristide infranse la visione di Lisa come un sasso contro un vaso Ming.

E lei rammentò.

Realizzerai il tuo desiderio, ma lo stringerai come un pugno di sabbia”.

E no! Non aveva mica faticato tre anni per lasciarsi portare via tutto da quegli avvoltoi!

Aveva sorriso, partecipato a noiosissime cerimonie, finto di adorare un esercito di nipotini strepitanti e appiccicosi. Aveva perfino digerito l’idea di non avere tutta per sé la casa a Portofino pur di far capitolare Aristide, celibe e senza figli.

Il patrimonio era suo di diritto! La fattucchiera doveva essere miope o la sfera era appannata!

Anche se, in altre occasioni…

Scacciò l’idea scuotendo convinta la testa nello studio dell’avvocato, un ottuagenario segaligno e un po’ duro d’orecchi.

- Signora, gli affari della buon’anima di suo marito sono gestiti dalla Compagnia. Non si dia pensiero – le batté bonario sulla mano – Dunque, per disposizioni del de cuius, il testamento potrà essere aperto solo tra una settimana dal notaio presso cui è depositato. Non dovrebbero sussistere sorprese, lei è ora l’unica erede legittima e se terzi dovessero impugnare il testamento, io le sarò accanto per vincere questa

 

battaglia! – assicurò con vigore.

Furono giorni di affannose ricerche. Un ipotetico nuovo testamento era il bottino ambito da mani avide che frugavano nelle ville, nello yacht, nelle auto e dovunque ci fossero pertugi sufficientemente segreti.

Saltarono fuori tre testamenti, l’uno diverso dall’altro e tutti e tre fasulli e dalla gioventù del miliardario riemersero un figlio disperso mai riconosciuto, una nipote rapita e una moglie iberica sposata a Las Vegas.

Lisa stava per impazzire. Non credeva di dover fronteggiare un’armata agguerrita fino ai denti, scaltra e priva di scrupoli.

Al termine di quella lunghissima settimana il notaio sedeva guardingo a capotavola, gli occhiali bordati d’oro sulla punta del naso e le mani ossute strette attorno al testamento. Si schiarì la voce:

 

 1 febbraio 1999

Io, Aristide De Carlis, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali (anche se molti di voi tenteranno di dimostrare il contrario), alla presenza del mio amico, il notaio Venceslao Corsi (cui lascio solo la mia gratitudine, avendone onorato il lavoro con estrema munificenza per molti anni), redigo le mie ultime volontà:

- ai miei nipoti, ai loro coniugi, ai miei pronipoti, ai dipendenti, ai domestici e alla mia segretaria va solo la mia gratitudine per aver palesato per tempo la loro reale natura, impedendomi così di compiere dei grossolani errori di giudizio;

- alla  mia  dolcissima Lisa  (che  tra pochi  giorni diverrà

mia moglie e con cui spero di trascorrere lunghi anni felici), lascio la gioia che sono certo lei condividerà, di aver destinato un terzo dell’intero patrimonio a opere di beneficienza.

I liquidi restanti, mobili, immobili, titoli, nonché l’impresa appartengono di diritto a lei sola che potrà disporne non appena saranno sciolti dalle ipoteche che gravano purtroppo su di essi.

                                                             In fede

                                               Aristide DeCarlis

 

Cadde il silenzio, sguardi increduli rimbalzavano da un volto all’altro, finché Lisa non seppe contenersi.

Una risata dirompente, drammatica rimbombò sulla tappezzeria.

- Vi siete accaniti tanto per cercare di avere solo il mitico pugno di mosche! –

E tu invece per stringere un pugno di sabbia” le sussurrò una voce nella testa.

Era così. L’amara, stridente verità era che dopo tutto l’impegno profuso per conquistare il benessere e la ricchezza, Lisa si ritrovava solo coperta di debiti.

- Ora basta! Fuori da casa mia! Sciò! –

Restò accanto al cancello della villa assicurandosi che tutti se ne andassero, mentre come sbucata dal nulla, una figuretta malferma avanzava lungo il marciapiede. Si fermò solo un istante davanti a lei scrutandola.

- Tieni Betty. Conservala come amuleto –

Lisa perplessa guardò la donna allontanarsi, poi abbassò gli occhi sul palmo aperto.

 

Un urlo fragoroso le sgorgò dalla gola.

Era la moneta falsa che aveva cercato di rifilare vent’anni prima alla Dama in Verde.

 

Fine…

 

 

 


Id: 4479 Data: 11/02/2019 19:17:02