Una pioggia torrenziale sembrava voler affondare il mondo intero.
Malco incitò il proprio cavallo ad aumentare il passo. Chino sulla sella, con il fez talmente intriso da gravargli sul capo, lanciò un’occhiata dietro di sé. I sue due compagni di viaggio, ognuno sulla propria cavalcatura, erano ombre confuse in una tenebra acquosa. Puntò i tacchi nei fianchi dell’animale. Lo sentì compiere uno slancio timido. Improvvisamente, da lontano, vide un barlume danzare nel mare di tenebre. Malco spronò il cavallo per un ultimo sforzo. Il barlume si fece via via più distinto. Proveniva dall’interno di una stalla dal tetto spiovente, le pareti storte. Malco scese a terra. Elisha e Guria lo imitarono e il trio si riunì. Il cavallo di Malco, dal manto così scuro da fondersi con la notte, sbuffò; a quello di Guria, rosso brunastro, tremavano le zampe; quello bianco di Elisha scrollò la testa. Gli uomini si guardarono negli occhi per qualche secondo; sguardi decisi, volti duri come pietra. Malco annuì. E appena si mosse verso la stalla, un grido acuto, colmo di dolore, si levò nell’aria. Malco scattò tirandosi dietro il cavallo, spostò con forza il piccolo steccato che fungeva da ingresso e fu dentro. Elisha e Guria lo seguirono, ognuno col proprio animale. Malco compì pochi passi, sufficienti a svelargli quanto stava accadendo. Un uomo in età avanzata se ne stava in ginocchio; era talmente magro che le ossa del bacino erano visibili sotto il tessuto della sua veste bianca; aveva uno sguardo saturo di apprensione; la sua fronte stillava sudore che scendeva sulle guance e veniva inghiottito dalla folta barba grigia. Le sue mani tremanti reggevano la testa di una donna, che si girava e rigirava come fosse preda delle convulsioni; tra i denti stretti usciva un brontolio continuo mentre, di tanto in tanto, la lingua saettava fuori, si divincolava nell’aria e ritornava dentro; una veste lunga, color grigio cenere le copriva le forme leggere del corpo fino a scivolarle completamente via all’altezza delle cosce, rivelando il resto delle gambe sottili e i piedi minuti; questi battevano sul pavimento punteggiato di fieno. L’uomo girò uno sguardo stralunato verso i tre: “Vi prego, aiutateci”.
Malco si fece avanti, si chinò al suo fianco e, posandogli una mano sulla spalla, mormorò: “Andrà tutto bene, Yaqim”.
Nel frattempo, Guria si era portato verso i piedi della donna, mentre Elisha badava a legar per bene i cavalli a uno dei tronchi che reggevano il tetto. Guria incitò la donna con voce calma: “Avanti Ciria, spingi, avanti”.
La donna strinse maggiormente i denti. Un grido si levò dalle sue labbra distorte. Le sue gambe sbandierarono per qualche secondo. E dopo qualche istante, Guria si ritrovò tra le mani il neonato; aveva una carnagione ambrata, la testa rigonfia, al posto del naso due fessure verticali.
L’uomo recise il cordone ombelicale con una lama e portò la creatura lontano da Ciria, oltre le mangiatoie, dove la luce non arrivava. Il neonato prese a muovere gambe e braccia. Le sue labbra sottili si aprirono e ne proruppe un basso ringhio gutturale. Quando i suoi occhi, dalle iridi giallo zolfo, si spalancarono, Guria emise un gemito strozzato. Elisha lo prese tra le mani, lo guardò con freddo distacco. Sollevò una lama arcuata e gliela piantò nel cuore. La creatura emise un grido acuto, tanto forte da far sussultare i cavalli. Ciria scoppiò in lacrime, subito sommersa dall’abbraccio di Yaqim. Elisha fu lesto: prima che l’essere potesse reagire, tolse il coltello dalle sue carni e gli tagliò la testa.
“Appena in tempo”, mormorò Malco.
Guria ed Elisha si avvicinarono alla coppia, esausta dalla sofferenza. Elisha raccolse i sandali della donna e glieli calzò con delicatezza.
“Quell’incubo… la profezia…”, biascicò Yaqim.
“Non temere. È tutto finito”, lo rassicurò Malco.
Ciria, in un fil di voce, domandò: “E... cosa… cosa si dirà... di noi?”.
Malco le passò una mano sulla fronte ancora tremante.
“Racconteremo un’altra storia”, disse.
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