Il romanzo racconta, attraverso gli occhi e le parole del piccolo Tom, bambino di 11 anni nato da un rapporto adolescenziale di una ragazza tredicenne, che ora ne ha 25, un universo di fatiche, indigenza e mancanza di sicurezza, ma allo stesso tempo di piccole fortune, qualche vizio e molte virtù, di quelle gioie che possono restituire il gusto di un’esistenza leggera e profonda allo stesso tempo. In poche parole una vita sensata.
Ogni tematica importante è trattata con estrema delicatezza e garbo, Tom ti strappa un sorriso e ti invita a riflettere e comunque ad apprezzare la vita.
Sin dalle prime battute si ha l’impressione di essere calati in un ambiente da favola, anche se il racconto riguarda una realtà certamente non idilliaca.
Il linguaggio è scorrevole, simpatico, attraversato da ironia e da un senso quasi ludico della vita, anche quando i fatti sembrerebbero essere più tragici che comici.
Nel racconto c’è un filo rosso che va dall’inizio alla fine che mi sembra di rintracciare in una sola parola: il bene. Spesso non sono narrati eventi in cui predomina la giustezza e la giustizia, ma è in primo piano il bene, della singola persona e in comune, il bene per l’altro, l’altruismo e quindi il bene per sé, e spesso trattasi di un bene metafisico, tutto interiore.
Mi verrebbe da dire che questo racconto è un inno alla vita, all’esistenza, alla cura della vita, alla sua accoglienza, e soprattutto un canto lieve e giocoso, ma nello stesso tempo profondo come l’azzurrità del mare, alla famiglia, al senso della famiglia, al senso della nascita, al senso della genitorialità ma anche al senso di essere figlio, che nello stesso tempo è fratello. Un canto alla vita, anche se questa vita non riserva le migliori condizioni di soddisfacimento ai nostri bisogni e alle nostre aspettative. Una vita impostata alla ricerca della felicità, tema classico dell’etica aristotelica dell’eudaimonia.
Una vita che, comunque sia, merita sempre di essere vissuta, nella misura in cui la si accetta per come è, con gli alti e i bassi, il bello e il brutto, e soprattutto accettandosi, accettando quello che siamo anche come corpo. Non per niente Joss, la venticinquenne mamma di Tom, che tanta attesa ha riposto nel fare un intervento di mastoplastica riduttiva, pensando di migliorare il suo status, rischia alla fine di non essere ri-conosciuta e soprattutto di ri-conoscersi.
Una bella commedia quella di Tom, piccolo Tom, nella quale alla fine ci sono sorprese di ritrovamenti e di ricongiunzioni, anche non propriamente fisiche, che danno una sferzata al male del mondo e aprono alla poesia, come quando Samy, il papà di Tom, che viene da un’esistenza certamente non facile e fa un lavoro certamente poco romantico, dice alla fine che “se avesse avuto fortuna, o meglio, se avesse avuto scelta, avrebbe fatto il poeta. Avrebbe scritto poesie che avrebbero fatto venire la pelle d’oca a chiunque le leggesse. E ne avrebbe scritta una anche per lei, per la ragazzina del piano di sotto, quando aveva tredici anni…”.