Avendo pubblicato recentemente l'ultima mia poesia intitolata Democrazia e avendo felicemente ricevuto, a causa sua, diversi commenti anche sui suoi contenuti e riferimenti ideali, mi sono concessa il piacere e il lusso di scrivere un testo che descriva, dopo e oltre l'emozione linguistico espressiva consegnata a quei versi, una mia attualissima preoccupazione. Ho ritenuto di doverla esplicitare per intero, sia pure con delle semplificazioni obbligate dalla mia poca dottrina e dallo spazio/tempo, debitamente autolimitato, per non risultare troppo noiosa e inopportuna agli eventuali lettori.La logica delconcreto e dell’astratto
E’ stato Marx sulle vie tracciate da Hegel a porsi teoricamente ilproblema della differenza tra la logica del concreto e quella dell’astratto.
E noi dovremmo far tesoro di quelle lezioni, le quali non sono dogmi o false immagini, ma attrezzi e strumenti concettuali per capire meglio i meccanismi della realtà in cui siamo immersi e che, per ciò stesso, è così difficile da concepire e decodificare. Intanto democrazia significa, com’ènoto, potere del popolo. Il suo nucleo storico originario ebbe come laboratorio la città di Atene tra il V e il IV sec. a.C.
Democrazia è senz’altro un concetto prodotto dalla mente umana (i Sofisti, Socrate …). Ma non era pura invenzione dell’immaginario, pura elucubrazione; era un prodotto del pensiero conoscitivo del tempo, adeguato a indicare e a rendere logicamente esplicabile un fenomeno molto concreto e già in pieno svolgimento: la lotta tra la vecchia classe di potere e la <borghesia> ateniese. Questa, avendo dinamizzato produzione e traffici e avendo preso coscienza del proprio ruolo e peso economico, introduceva forti elementi destabilizzanti (si era intellettualmente preparata a questo fine) nella concezione sacrale e assoluta delle origini e del potere aristocratico, richiedendo una nuova fondazione etico/politica e istituzionale della società, a partire dall’analisi degli elementi costitutivi della condizione umana (egoismo individuale e soggettività) sottoponibili al gioco dialettico delle analisi e delle argomentazioni, da cui poteva sortire il processo di progressivo accostamento al miglior bene per il maggior numero, posto come una finalità che si realizza gradualmente e si chiude asintoticamente all’infinito. Nella realtà dei fatti, il popolo che poteva e ha potuto, in qualche luogo e per breve tempo, contare politicamente, era molto ristretto rispetto alla popolazione dei governati, in quanto il diritto politico era ed è rimasto a lungo legato al censo.
Ma tutto ciò è probabilmente noto a molti, ed è indifferente tantorispetto a coloro che sostengono che la democrazia è un bene assoluto, quantorispetto a coloro che sostengono sia una trappola con cui il potere politico,da chiunque esercitato, si giustifica come proveniente dal popolo e su quest’ultimoscarica le responsabilità più gravi e spiacevoli esercitate in suo nome.
Ci sono voluti duemila anni di autoritarismo, schiavismo e varie condizioni di asservimento prima che il concetto venisse ripreso e rielaborato entro vere e proprie teorie sociologiche e politiche moderne nel Secolo dei Lumi. E si devono alla Rivoluzione Francese del 1789 i primi tentativi, anche molto sanguinosi, di realizzazione pratica, tanto di alcune forme circoscritte di democrazia diretta, quanto di quelle forme, estensibili a paesi vasti e popolosi, dette di democrazia rappresentativa.
Ma il valore o l’utilità o il successo storico e sociale dei regimi democratici non risiede tanto nelle forme adottate, quanto nella relazione storicamente concreta tra la forma politica e le altre strutture dinamiche che compongono e organizzano il meccanismo sociale.
E’ stato K. Marx a liquidare teoricamente le pretese limitazioni di censo rispetto alla sua concezione del diritto sociale e universalmente personale di esercitare il potere politico, nelle forme che si presentano come necessarie e adeguate alla specificità con la quale, sia sotto la pressione dell’emergenza che in situazioni meno drastiche, vengono ripristinate quelle classiche o elaborate forme nuove.
Il cittadino, poniamo, di Rousseau o di Montesquieu, è il cittadino astratto, giusnaturalistico, ossia ridotto alla scarnificazione giuridica che lo pone come uomo senza qualità economiche rispetto ad altri uomini, quindi lo eguaglia a prescindere, in natura, salvo poi a presentargli il conto dello scotto quando nella prassi sociale sperimenterà che quell’uguaglianza giuridica non avrà gli stessi effetti per altri suoi simili, titolari di risorse di cui egli è inspiegabilmente deprivato.
Il cittadino marxiano è tenuto a sapere che la sua condizione di cittadino dipende in larga misura, non dalla sua natura di uomo, ma dal ruolo che il meccanismo sociale in atto lo chiama a ricoprire, senza che egli possa scegliere. Per lui la condizione sarà quella di chi si scopre possessore dei mezzi per produrre e riprodurre la propria esistenza e quella dei suoi familiari e quindi contare su un potere di contrattazione nel mercato delle merci (nel caso che sia produttore agricolo o artigiano) o in quello delle braccia (qui egli potrebbe acquistare forza di braccia per far meglio fruttare i suoi mezzi, per esempio, terreni, bestiame, telai, fornaci…) Per molti altri, pure come lui umani, si profila la situazione in cui si prende atto di non possedere se non la propria forza di lavoro e che, rivestiti solo di essa, non solo ciascuno ha vita grama e breve, ma che nel mercato delle braccia o di altra specifica forza di lavoro, il peso individuale è molto vicino allo zero, dato che alla sua stessa condizione appartiene una moltitudine di umani, incalzata come lui dal bisogno di vendere in qualche modo la forza di lavoro, precariamente posseduta, per poter continuare a mantenersi in piedi.
In queste condizioni, non sarà la forza giuridica, giusnaturalisticamente o contrattualsocilisticamente intesa, a calibrare la sua possibilità di far valere il suo peso nella progettazione delle dinamiche sociopolitiche, ma la sua capacità di associare il suo peso infinitesimo ad altri pesi come il suo, di modo che la bilancia del mercato, fortemente controllata dal peso del capitale, possa subire i controbilanciamenti del peso unificato delle forze di lavoro. Ciò significa che l’operaio collettivo deve scoprire la sua vocazione democratica, ossia la fondamentale eguaglianza di condizionie dei suoi componenti sotto il capitale. E gli occorre capire bene la dinamica oggettiva che gli soprassiede e intravedere le sue possibilità di trasformare la debolezza individuale in forza di contrattazione collettiva; tale che questa si possa poi tradurre in leggi di distribuzione dei redditi e dei servizi, in regole per la protezione e lo sviluppo storicamente possibile delle sue condizioni di esistenza e di lavoro, in un ambiente possibilmente salvaguardato, in modo tale che si assicuri all’intero gruppo sociale il giusto ricambio nella gestione economica e nell’esercizio del potere politico, nonché si assicuri e si faciliti l’accesso di tutti, in ragione delle difficoltà di base, all’educazione e allo sviluppo intellettuale, specialmente della popolazione in età evolutiva. Chiaramente in contestidi questo genere non vi è spazio per discriminazioni e pregiudizi per questioni di pelle, di lingue, di origini native. Non c’è posto per una democrazia blindata che pretenda di spostare l’ultimo arrivato un po’ più in là, sotto l’agire persuasivo delle gendarmerie o dei pogrom<spontanei>.
Perciò, attenzione, la formalità giuridica astratta non è però un orpello inutile: è un presupposto, una garanzia formale (la forma è anche un po’ sostanza) è un valore che preforma un clima, un bagno culturale, nel quale si comincia a vivere, a concepire e a distinguere gli aspetti della realtà circostante. E perché la norma astratta diventi condizione operante di vita, occorre vigilare coloro che hanno poteri e compiti o ruoli delicati; occorre che l’uomo/donna lavoratore non deleghi ciò che è inderogabilmente di propria pertinenza, non si risparmi mai la fatica di pensare e di informarsi, di esercitare il giudizio, l’autocontrollo e la dialettica interpersonale e che, sulle base di tali atteggiamenti, disarmi i troppo interessati del momentaneo potere a brandire una malintesa idea di democrazia, come fosse uno strumento di proprietà personale o di classe e un’arma contro, a danno di coloro che più di tutti hanno buone ragioni per difenderla ed emanciparla da ghiotti infeudamenti.
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