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Studi sull’isteria d’Impero Romano - I

Argomento: Storia

di Giuseppe Paolo Mazzarello
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Pubblicato il 25/05/2009 19:26:51

Studi sull'isteria d'Impero: il dopo-Cesare e la dinastia Claudio-Giulia del Dr. Giuseppe Paolo Mazzarello Alla fine del 42 AC Marco Antonio istituisce un contingente di 10000 soldati a sua permanente, personale e completa disposizione: la Guardia Pretoriana. Può farlo, è uno dei tre dittatori di Roma, anche se a lui piaceva chiamarsi consul iterum. C'era appena stata la battaglia di Filippi, egli aveva capito che a sapere usare le armi si poteva raggiungere o conservare il potere. Riduceva la materia con eccesso di sintesi: per quello scopo era necessario tutto il resto che a lui mancava. Cultura, umanità, capacità. Era coraggioso sino alla temerarietà e sincero sino alla sfrontatezza. Non era ancora giunto il momento di fondare la propria autorità sulla violenza, non esisteva neppure il ruolo dell'imperatore quale si sarebbe visto nei secoli successivi, Cesare era stato sepolto da appena due anni. Con Antonio appare subito possibile quello che appariva impensabile. Andare nell'alleata Armenia con Cleopatra, straniera per tutti, convocare il legittimo sovrano, arrestarlo ed insediare sul trono la regina d'Egitto. La stessa regina che avrebbe insediato, con mezzi analoghi, sul trono di Roma. Portare centomila soldati in Grecia, rinunciare a combattere una battaglia già vinta contro Ottaviano solo perchè a Cleopatra piaceva di più una battaglia navale. Perdere, suicidarsi, mentre l'amata Cleopatra pensava già a sedurre Ottaviano, per la qual cosa esistevano possibilità minori che vincere ad Azio. Cos'aveva in testa questa gente? Impiegheremmo più tempo noi a chiedercelo che loro a metterlo in pratica. Un secolo dopo quattordici pretoriani metteranno sul trono Otone. Chi ne ha voglia, può scorrere la storia per vedere se in altro momento una analoga comitiva decidesse di chiudere una serata destituendo un imperatore. Più che scorrere la storia, potremmo semplicemente guardarci intorno. Marco Antonio interpreta l'impulsività di un soggetto al quale il momento presenta immense possibilità. Lui se ne accorse prima degli altri e volle sfruttarle tutte. Pagò di persona il prezzo di volere sostenere la fantasia oltre il limite costituito dall'opportunità. In altri contesti tale prezzo è pagato da tutti gli altri. * Se ci mettiamo a fare i conti, dobbiamo rimetterci ad Ottaviano che il prozio Cesare adottò a figlio nel 44 AC. Egli aveva doti logiche, matematiche ed ebbe a scrivere la partita doppia della più grande nazione-azienda della storia. Alla morte del grande prozio si apprese che questi aveva destinato grandi somme in eredità ai cittadini. Uno che era dittatore insieme a lui, Antonio, prese posizione per attendere la ratifica legale del testamento. Ottaviano anticipò il dovuto al popolo con le proprie risorse. Dalle proprie risorse dovette estrarre anche quelle militari per sconfiggere Antonio ribelle. Esaurita la colonna contabile, si presentò all'assemblea dei soci in senato a concretizzare la 'res publica restituta'. I senatori trovarono il modo per farne continuare l'opera. Egli fu il 'princeps, primus inter pares', e si basò sul potere che i tribuni della plebe avevano usato in un contesto dinamico e tumultuoso. Non vi era più bisogno di dibattito ma di rigore. Se ne accorse Virgilio che prima ringraziò Asinio Pollione di avergli lasciato ancora per un po' la terra 'recubans sub tegmine fagi'. Poi questo non fu ulteriormente possibile: Ottaviano aveva avuto l'imperium' dai legionari perchè questi avrebbero avuto la terra. A Virgilio non restò che dire 'paulo maiora canamus'. Ottaviano si meritò dal senato quel titolo di Augusto che, apprendiamo dalle lezioni del Mommsen pubblicate in Inglese da Routledge, significa 'by the grace of God'. La leva militare scomparve ma per quella familiare ci fu la chiamata alle armi. Crescete, moltiplicatevi ma soprattutto: sposatevi! Augusto aveva potere proconsolare in politica estera e della difesa, poteva proporre leggi, condannare a morte ed era anche pontefice massimo. Come ogni riformatore massimo ebbe una famiglia che fu il massimo dell'informalità. L'ultima moglie Livia gli portò in dote il figliastro Tiberio che sarà anche il suo successore, mentre il suo favorito Druso andrà a morire in guerra in Germania. Sullo sfondo c'è già la terra che - a futura memoria - ospiterà il rigore, la serietà e la freddezza di Augusto. A noi non resta che prendere per buone le leggi augustee in materia di diritto di famiglia. E' auspicabile che i genitori amorevolmente disposti a sorridere ai figli, si ritrovino a scoprire che, al proprio rampollo, una dea 'dignata cubili est'. Virgilio ci ha ancora una volta aiutato a superare il trauma della perdita. Per una democrazia che si perde c'è un'autorità che si acquista, ma questo valse per Roma. La classe dei cavalieri si insediò a fianco dell'imperatore dimostrando la sua storica anti democraticità, ma Augusto comandò bene e questo fu l'essenziale. Alla nobiltà restarono i ricordi ed alla suburra i 'panes et circenses'. Quelli, almeno, erano gratis. * 'Cui non risere parentes, nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est'. Quanto Virgilio scrisse nelle Bucoliche, si applica perfettamente a Tiberio. Sua madre Livia abbandonò lui ed il marito per sposare Augusto. Poi l'anziano padre morì ed allora Tiberio bimbo fu accolto nella casa del patrigno. Egli fu istruito e mandato a fare il militare in Germania. Intorno a lui si tessevano trame di successione imperiale dalle quali il futuro imperatore era sempre immancabilmente escluso. Non fu escluso però quando ci fu da trovare marito alla sorellastra Iulia, i gusti della quale in materia sessuale non erano adatti a palati come il suo. Fuggì a Rodi e ci stette per un pò, poi tornò a Roma. Livia aveva fatto ammazzare tutti i papabili e per la successione ad Augusto non restava che lui. Tiberio dovette pensare che a sua madre sarebbe dovuta toccare quella corona che invece dovette portare lui. Ebbe un grande rispetto per il senato, che non valeva nulla, ma lui pensava di valere anche meno. Le guarnigioni in Germania si mostravano sediziose, ma sotto Augusto nella selva di Teutoburgo c'era già stato un loro olocausto, e Tiberio ebbe grandi meriti a non permetterne un secondo. I giovani leoni dell'aristocrazia romana avevano piglio gagliardo nelle operazioni militari e l'imperatore ne lasciò sfogare più di uno. Non fu direttamente responsabile della morte di nessuno di loro, finivano prevalentemente avvelenati dalle mogli. L'opinione pubblica non gradì e Tiberio gradì ancora meno di replicare le campagne della gioventù per sostituirli. Il risultato fu che l'impero restava nel punto in cui si trovava e Tacito poteva solo rimpiangere che Germanico non avesse emulato Giulio Cesare. L'unico titolo che Tiberio accettò dal senato fu quello di essere chiamato: Tiberio Cesare Augusto. Se di uno riconosceva la nobile ascendenza, dell'altro apprezzava la serietà non potendo fare altrettanto dell'amore. Rispettò i tribunali e li invocò sempre a difesa di una verità che si dimostrò sempre più difficile da trovare. Puntò abbastanza alla fine su Seiano, un equestre salito rapidamente in carriera. Si ritirò a Capri colpito da una malattia della pelle del volto, oltre che dalla solita depressione, pensando di avere risolto per la successione. I servizi segreti, da lui promossi, gli riferirono che il suo delfino aveva congiurato contro di lui dopo averne ammazzato il figlio Druso in combutta con la moglie dello stesso Livia Drusilla. Dall'esilio, l'imperatore inviò una nota al senato tanto prolissa che alla fine quasi non si capiva che decretava l'arresto di Seiano e la sua esecuzione. Dovette proprio costargli eliminare l'unico amico che avesse mai avuto e che, al colmo della sventura, era anche il prefetto del pretorio. * In accordo con Freud, potremmo dire che una certa energia interiore ha bisogno di essere convertita per non esplodere. L'occasione fu offerta dalla successione a Tiberio. Augusto aveva fatto adottare al suo successore il figlio di Druso, Germanico, che era molto popolare e destinato a diventare imperatore. Però morirono tutti ed alla fine fu uno dei figli di Germanico, Caligola, a diventarlo. Chi fosse realmente Caligola, non importava a nessuno. Non importa neanche a noi accodarci a quanti, anche dopo, hanno continuato a volere vedere in Caligola qualcosa che continuava a non esserci. Camus ha scritto un lavoro teatrale intorno a questa figura, così sappiamo che all'autore francese sarebbe inconsciamente piaciuto fare le stesse cose che fece Caligola. La sincerità non è mai disprezzabile e Caligola abbassò le tasse, salvo introdurre il prelievo del 5% quale deposito per ogni causa civile intentata. Svetonio, citato da Mommsen, lo inserisce nel florilegio negativo ma il futuro ha portato esempi che potrebbero fare ricredere. Mandò a morte molti perchè erano ricchi e le loro sostanze servivano allo stesso scopo di quella tassa della quale s'è detto. Una volta mandò a morte un povero e, quando glielo fecero notare, candidamente ammise che c'era stato un errore. Era sicuramente matto, ma era in buona compagnia. La sua compagnia prediletta per il sesso era costituita da consanguinee e soleva dileggiare i pretoriani. Al termine di uno spettacolo domestico, due di loro irritati uccisero il ventinovenne Caligola insieme alla moglie Cesonia ed alla loro figlioletta che aveva 2 anni. Poi si accorsero che non poteva sostituirlo quasi nessuno, trovarono lo zio Claudio che si era nascosto da qualche parte e lo proposero al trono. In quell'atmosfera surreale, il senato approvò. Claudio aveva un ventre copioso e gambe rinsecchite. Aveva studiato qualcosa ma non era stato preparato a nessun tipo di carriera. Nella Roma di allora, valeva quasi come titolo di merito. Fece amministrare la cosa pubblica dai suoi cortigiani, ed in questo fu precursore di un'attitudine che avrebbe incontrato grandissima fortuna. Incontrarono grandissima fortuna le sue mogli, tanto Messalina quanto Agrippina, perchè chi ama circondarsi di cortigiani invadenti fa lo stesso a casa sua. Dato che ai crimini ci pensava l'entourage, l'imperatore si dedicò con passione alla magistratura ed alla religione. Comprensibilmente, le casse dello stato erano povere e Claudio occupò il territorio che attualmente è dell'Inghilterra per raccogliervi le tasse. Per quindici giorni egli stesso guidò l'esercito e non se la cavò neppure male. Non se la cavò neppure male a farsi divinizzare ma oramai Agrippina aveva preparato la successione al figlio Nerone. Quest'ultimo se la cavò male in molte cose, ma non tutto il male viene per nuocere. Il giovanotto imperatore lasciò che a governare ci fossero i soliti cortigiani. Tra questi il suo precettore filosofo Seneca merita un posto di riguardo. I primi anni del potere furono quelli della clemenza ma, oltre a teorizzarla, pochi potevano sostenerla con convinzione. Nerone conobbe la liberta Atte e se ne innamorò, con tutte le conseguenze negative per uno che non sapeva neppure da che parte cominciare. Non era del tutto colpa sua, ma la madre pensò che quella di avere una nuora così fosse una colpa che a suo figlio non poteva proprio perdonare. Così si mise a tessere una congiura, col risultato di fare perdere al figlio quel poco di buon senso che gli rimaneva. Nerone fece uccidere tutti quelli che appartenevano al suo giro familiare, madre 'in primis'. Era un attore nato, non propriamente tragico, ma sicuramente drammatico. Adatto a quel tipo di dramma che scivola verso la farsa. Per questo vale la straordinaria interpretazione del suo personaggio da parte di Peter Ustinov nel 'Quo vadis?' americano del 1951. C'è un alter ego imperiale in quel Petronio Arbitro, un autore scellerato che credeva di essere raffinato ed invece era solo una macchietta. Scrisse il 'Satyricon' dove un tipo finisce per raccontare di una vedova che ad Efeso vende il cadavere del marito perchè serviva all'amante soldato da appendere su di una croce per esigenze di servizio. L'esercito era proprio ridotto male e Nerone non fu proprio capace di porvi rimedio. Contava più quello che accadeva nelle caserme provinciali che nelle alcove romane. Gli anni si iniziavano a contare in modo nuovo da qualche tempo. AD 68: il governatore di Spagna, Galba, si mise a capo di una rivolta e chiese ai potenti di Roma il trono imperiale. Un potente effettivo, Tigellino, il solito pretoriano, vendette con immediatezza la pelle del sovrano. Dai potenti di Roma, ammesso che lo fossero mai stati, uscirono Seneca e Nerone per suicidio. Qualche tempo prima qualche delinquente, con atto mafioso, aveva incendiato qualche casa romana ma prese fuoco tutta la città. Nerone non c'era neppure, in genere andava in Grecia, ma inopinatamente parlò dell'incendio di Ilio ed aggiunse altra nota di demerito al suo già non invidiabile curriculum vitae. Il solito Tigellino, campione di meschina criminalità, aveva preso il il destro per incolpare e perseguitare i Cristiani che erano una comunità in espansione. Nerone fu un malcapitato della storia: nel 'Quo vadis?', credendo di fare ridere, Petronio morente gli raccomanda di ammazzare pure chi vuole ma di non annoiarlo con i suoi versi. Tutto potremmo dire di Nerone, salvo che i suoi versi fossero noiosi. La coppia cinematografica costituita da Robert Taylor e Deborah Kerr ha dovuto cavarsela in qualche modo contando su Santi nelle segrete ed energumeni nel circo. La dinastia Giulio-Claudia rassegnava le dimissioni ed una nuova strada stava per essere intrapresa. Pietro incontra Gesù sulla via Appia e così Sienkiewicz scrive il dialogo tra i due: 'Lord, where are you going?' 'Whiter I go, thou canst not follow me now; but thou shalt follow me afterwards'.


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