Pubblicato il 13/09/2009 18:20:45
G.Frege, filosofo e matematico tedesco e padre della logica matematica, faceva distinzione tra “senso” e “significato”. Il significato di una espressione verbale è l’oggetto che essa indica, il senso è il modo in cui viene indicato l’oggetto. Frege portava l’esempio del pianeta Venere chiamato sia “stella del mattino” che “stella della sera”. E’ chiaro come ambedue le espressioni indichino lo stesso oggetto, cioè Venere, e quindi abbiano lo stesso significato, ma certo non hanno lo stesso senso. Può essere che si dia al significato un senso diverso o contrario ma non per questo inesistente. Saussure distinse nell’espressione verbale la forma (grafica o fonica) e il concetto rispettivamente detti significante e significato, cioè i suoni e i simboli e l’immagine che attraverso essi si esprime. Quindi ogni oggetto o immagine assume un significato grazie ai significanti (segni convenzionali prestabiliti) con cui viene espressa. Io ritengo che esistano immagini o oggetti come sopra detti, che possiamo anche chiamare parole, in modo più semplicistico, “insignificate” che è diverso da “insignificanti”, cioè prive di senso (vedi Frege). Queste parole hanno un senso per chi le esprime ma non hanno significato per chi dovrebbe recepirlo in quanto i significanti che lo rappresentano non appartengono alla sua sfera di conoscenze e quindi anche il senso diventa aleatorio. In poche parole, se utilizziamo lo stesso “alfabeto”, cioè gli stessi significanti, difficilmente si potranno interpretare significati inesistenti, semmai sensi diversi da meglio chiarire con ulteriori informazioni. Per esempio: nel linguaggio degli sms giovanili si usa comunicare con sigle prestabilite tipo TVB per dire “ti voglio bene”. Ammesso che io non conosca il significato di questa espressione grafica, nel momento in cui vado a leggerla andrò a cercarlo nelle mie conoscenze e potrei errare attribuendo un significato diverso quale ad esempio, “tutto va bene”. In tal caso, anche il senso viene a cambiare nel più ampio contesto di una discorso. E’ necessario, dunque, in una qualsivoglia forma di comunicazione, utilizzare i medesimi significanti strettamente rapportati ai loro significati, e chiarirne eventualmente il senso in casi dubbi. Alla base di tutto questo ci vuole però la verità, intesa come trasparenza o limpidezza di linguaggio . L’ambiguità porta sicuramente alla confusione, all’incertezza e può diventare un’arma potente per distruggere anche la personalità di un individuo. Tutto questo discorso per dire che molto spesso ho l’impressione della presenza di significati diversi da quelli che si possano recepire attraverso i significanti conosciuti, in quanto l’interlocutore, pur utilizzando in apparenza i medesimi significanti, in realtà li utilizza in maniera soggettiva per dare al contesto quel tono ambiguo e fraintendibile mirato ad un suo fine prestabilito. Ne consegue una sorta di violenza psicologica che annienta l’individualità e/o la personalità. Come sono arrivata ad elaborare tutto ciò? Dall’errore. Ogni messaggio ( in senso lato) spesso, troppo spesso contiene errori. Di questi, sicuramente, alcuni sono involontari, ma altri sembrano appositamente voluti come fossero una sorta di evidenziatore di quella parola, come ad avvisare che su quella parola si deve meditare per coglierne il senso e il significato esatto, o meglio, calcolato. Quindi l’errore “voluto” diventa un terribile mezzo di controcomunicazione o di comunicazione finalizzata ad altri scopi.
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