Verso la fine…
Mi chiamo Luciano Gambardi. Mi danno poche settimane di vita, qualche mese al massimo. Il mio cervello, compromesso da un tumore, rischia di andare in tilt da un giorno all'altro. Così per lasciare una minima traccia di me ho deciso di scrivere qualcosa… ma non so cosa, e quanto. La malattia potrebbe accelerare il suo decorso facendomi perdere conoscenza… e il mio scritto finirebbe per risultare incompiuto.
Ho sessant'anni. Vivo da solo in un bilocale nella periferia est di Milano ereditato dai miei genitori. Sono laureato in lettere.
Per una ventina d'anni ho lavorato in una media azienda occupandomi di gestione documenti e pratiche burocratiche. Poi il licenziamento a causa del fallimento, seguito da un intervallarsi di lavori saltuari e disoccupazione: cameriere, addetto pompe funebri, autista, fotografo, corriere, docente supplente, badante... Col senno di poi avrei potuto sfruttarla meglio la mia laurea, magari insegnando... Ma avrei dovuto pensarci prima, facendo concorsi, e soprattutto mettendomi in pista appena laureato... E’ anche vero che dedicandomi esclusivamente al mondo della scuola mi sarei precluso altre esperienze.
Tutta la mia vita è stata una complicazione. Non riuscendo a fare piani a lunga scadenza ho sempre navigato a vista. Senza voler rischiare troppo. Anche nelle relazioni sentimentali...
Un breve grande amore non corrisposto, quando avevo vent'anni.
Poi una storia pseudo-sentimentale che mi sono trascinato dai trenta ai quarant'anni. Nadia, collega nell’azienda dove lavoravo, una coetanea per cui provavo poco più di una vaga simpatia. Né bella né brutta, senza particolari difetti e virtù, un po’ come me. Forse troppo simile a me. Introversa, tranquilla, apatica e piuttosto abulica. Ognuno viveva a casa sua. Ci trovavamo nei week end. Andavamo a letto ora a casa mia, ora a casa sua... un po' per abitudine, un po' perché non trovavamo di meglio. Io sognavo una specie di attrice modella traboccante di humour e simpatia tipo Monica Vitti, e questa mia compagna vagheggiava una via di mezzo tra un onorevole e un top manager pieno di soldi e savoir faire. Modelli di fronte ai quali entrambi soccombevamo.
Una storia che è andata avanti per forza di inedia e poi si è arenata senza tanti patemi. Sono una decina d'anni che non ci sentiamo... Lei deve aver cambiato casa. Su Facebook ho visto che s'è messa insieme ad un altro. Sono contento per lei. Fosse rimasta insieme a me, sarebbe stata per lei, se non una tragedia, una grande seccatura... Oltretutto avrei potuto lasciarle poco o niente. E non le dirò niente. Sapermi così non le farebbe piacere. Abbiamo almeno avuto il buon senso di lasciarci da buoni amici. E l'oblio mi sembra il miglior viatico ad una storia senza infamia e senza lode.
Dopodiché nulla di importante da segnalare… Qualche flirt con un paio di donne conosciute su Facebook, di cui ricordo a malapena il nome, e una notte con una escort (con l’incasso di un gratta e vinci).
In fondo è tutta qui la mia vita erotica. Ho preferito parlarne subito, darne una estrema sintesi nel caso in cui un tracollo improvviso mi impedisca di continuare.
Che altro dire di me? Non sono abituato a scrivere..
Non ho neppure vissuto vicende straordinarie. Dovrei lavorare di fantasia? Mi chiedo se questo senso di grigiore non sia nella mia testa piuttosto che nella realtà. Se cioè sia stato questo mio atteggiamento rinunciatario a condizionare la mia vita. Forse è tutta una questione di prospettiva. Aprire gli occhi sul grande mistero della vita.
E se avessi sprecato un'occasione, una grande occasione che il destino o Dio mi avessero offerto?
Mi sento come un naufrago su un’isola deserta. Non posso dire di esserci finito… per un errore di rotta. Una rotta non l’ho mai seguita. E’ stato tutto molto progressivo, casuale… A questa deriva ci sono arrivato quasi senza accorgermi. Il risultato di una sostanziale imprevidenza. Sarebbe bastato un buon binocolo puntato all’orizzonte. Guardare un po’ più in là del mio naso. Ho tergiversato. E poi ci si è messa di mezzo la mia malattia, la tempesta che mi ha mandato a picco.
Adesso cerco di organizzarmi come in un’isola sperduta. Mi arrangio e non posso dire che non mi manchino i mezzi, ho da mangiare e bere finché voglio. Non ho da temere l’attacco di pirati o di indigeni bellicosi. Una pacchia… se non fosse che non c’è nessuno in grado di salvarmi. Non passano accanto a me navi, non volano sopra la mia testa aerei di soccorso.
Un’altra tempesta più violenta della precedente si sta avvicinando, e io non avrò scampo.
Ma c’è un vantaggio. Ho coscienza di tutto ciò. E se allargo la visuale mi accorgo che la mia condizione non è poi molto diversa da quella dell’intera umanità. Non sarò solo io a dover soccombere. La cosa che mi distingue rispetto agli altri sono i tempi. Per me è questione di settimane, pochi mesi al massimo; mentre per gli altri i tempi sono un po’ più lunghi.
Dicono che la vita sia una cosa meravigliosa. Non lo so… preferisco non esprimermi. In fin dei conti non sono io che ho chiesto di venire al mondo. Non fossi nato non se ne sarebbe accorto nessuno, neppure i miei genitori. E ora che sto per andarmene mi viene da pensare che non ho fatto abbastanza, anche se non so cosa avrei potuto fare di meglio. Avrei voluto essere più intelligente, più dotato… più consapevole. Mentre ho vissuto poco più che un animale.
E tutti quei milioni, miliardi di persone che si sono succeduti sulla terra… anche loro quanto spreco di vita e di fatica… Molti si sono pure ammazzati tra di loro. E il “regista” (ammesso che esista) che ha permesso tutto questo, non ha da farsi pure lui qualche domanda? Ne è valsa la pena? Si continuerà così per sempre? E’ proprio così che deve andare? E poi dove finiremo?
Forse per dare una risposta occorrerà vedere il film fino alla fine. E mi auguro che per molti, se non per tutti, sia a lieto fine. Anche se i testi sacri parlano di apocalisse... Quanto meno si spera ci venga offerta una decente chiave di lettura.
Sto pensando a come chiudere questo mio racconto in modo dignitoso. Ma dubito di farcela… Ogni giorno, ogni momento sono sempre più stanco… E allora meglio finirla qui. Spero solo che il tempo aggiusti ogni cosa, quando io non ci sarò, che la mia memoria almeno non venga infangata.
Ci vorrebbe un bel cambio di prospettiva, come quando cala giù il sipario e si apre una nuova scena, bella possibilmente. Ma il destino se ne frega dei desideri della gente. Bisogna accettare quello che viene. Farsene una ragione, senza pretendere troppo dagli altri e da se stessi. D’altra parte era logico che prima o poi doveva finire. Magari questa fine è il punto di arrivo di un nuovo inizio.
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