La Guerra nel Vietnam ha prodotto, nel corso degli anni, lo sviluppo di una grande quantità di studi e di “opinioni” intorno alle “cause” di questo conflitto che, a tutt’oggi, grazie anche, e forse bisognerebbe dire “soprattutto”, al cinema, è rimasto nella memoria collettiva delle società occidentali come un fatto “enorme”, per via delle sofferenze inaudite cui furono sottoposti “tutti”, senza eccezione, dalle popolazioni civili locali ai soldati americani.
Intanto, bisogna considerare un fatto fondamentale, e cioè che, “prima” degli americani, in Indocina c’erano stati i francesi e che la loro azione in questo scacchiere strategico del mondo, immerso in quegli anni nella “Guerra Fredda”, operò feroci repressioni che, alla fine, non ebbero tuttavia l’effetto di piegare le popolazioni locali. A quei tempi, uomini molto vicini al Generale De Gaulle, come Jean Sainteny, avevano capito perfettamente che la repressione non sarebbe servita a niente. Sainteny, un personaggio oggi pressoché dimenticato, ebbe invece, in quegli anni, un duplice ruolo, come storico e come “protagonista” degli eventi. Come storico infatti scrisse l’ Histoire d’une paix manquée: Indochine 1945-1947 (1) . Sainteny era assolutamente convinto del fatto che la politica di repressione e di aggressione in Indocina era condannata alla disfatta. Queste sue idee erano maturate in seguito ad una larga esperienza di uomini e di fatti. Egli aveva conosciuto personalmente Ho Chi Min, e godeva al tempo stesso della fiducia del Generale De Gaulle. Per queste ragioni, Sainteny fu inviato nel 1966 in Indocina per discutere con Ho Chi Min il problema della “neutralità” dell’Indocina secondo le linee-guida impostate a suo tempo a Ginevra. Per di più, Sainteny era anche assolutamente contrario ad un eventuale intervento degli americani volto a “sostituire” in qualche modo i francesi.
Quali furono le motivazioni che spinsero gli Stati Uniti a impegnarsi in Vietnam? Quali furono le ragioni profonde che spinsero gli Stati Uniti, nonostante il recente fallimento francese, a entrare in rotta di collisione con uno dei più forti movimenti rivoluzionari anti-coloniali del XX secolo? Penso che queste ragioni non stessero né nella stupidità del governo americano, né nella mancanza di informazioni, né tantomeno nella incapacità di comprendere da parte degli americani in quale ginepraio si sarebbero andati a cacciare.
In questa nostra operazione di “descrizione” di quel lontano passato, osserveremo un dato che allora fu reiterato con un’ insistenza parossistica da “tutte” le componenti governative americane e da quanti, storici e giornalisti, ne sostennero la tesi di fondo, e cioè che gli Stati Uniti intendevano dimostrare al mondo di essere l’unica potenza in grado di bloccare l’ “espansionismo comunista cinese” in un Paese (il Vietnam) che, agli occhi di molti americani dell’epoca, appariva come “l’ultimo baluardo” al dilagare del comunismo in Indocina, impedendo quello che, da allora, fu chiamato “l’effetto domino”, ovvero l’avanzata, che pareva inarrestabile, delle forze comuniste nel Sud-Est Asiatico. Questa convinzione fu l’ “asse portante” su cui molti storici e giornalisti basarono il loro sostegno all’intervento americano in Vietnam.
Sul versante opposto, gli analisti di sinistra sostennero, al contrario, che il “blocco” dell’espansionismo comunista non fu la ragione “reale” dell’intervento americano nel Vietnam. Infatti molti storici di sinistra dell’epoca sottolinearono che “l’effetto domino” era soltanto la “piattaforma ideologica” che nascondeva una realtà, politica, strategica, ed economica molto più “cruda” , ovvero che la presenza americana in Vietnam avrebbe segnato soltanto il passaggio dal “colonialismo europeo” all’ “imperialismo americano”, appoggiato dalle classi sociali privilegiate del Vietnam del Sud.
Si parlò pertanto di un “Neo-colonialismo Americano”, di un’ indebita ingerenza economica e militare, che preludeva all’ occupazione di un paese “terzo”, e ciò in contrasto con le ipotesi ventilate a Ginevra (che prevedevano una possibile riunificazione del Paese dopo libere elezioni). Ci furono anche severe critiche da sinistra alla politica di John Kennedy nel Vietnam del Sud, perché, secondo alcuni osservatori, gli americani avrebbero implementato alcune strategie che, effettivamente, potevano far pensare ad una vera e propria repressione. I sospetti in particolare afferivano al “ Piano Taylor ”, così chiamato perché escogitato da Stanley Taylor, al tempo uno stretto collaboratore di Kennedy, che prevedeva il “forzato trasferimento” di tutta la popolazione rurale sud-vietnamita in alcuni campi a Saigon, per avere così un capillare controllo sulle popolazioni locali e “stroncare” la guerriglia alle radici.
A questo punto del nostro discorso, abbiamo individuato gli “assi portanti” della guerra in Vietnam; gli americani la presentarono come la “lotta contro il dilagare del comunismo nel Sud-Est Asiatico”, mentre dai Vietnamiti e da molti storici ed intellettuali di sinistra il conflitto fu vissuto come una “Guerra d’Indipendenza” dall’ “Imperialismo americano”, che, a loro modo di vedere, si proponeva esclusivamente la salvaguardia degli interessi politici, economici e strategici americani nel mondo.
Queste furono le “macro-cause” della Guerra nel Vietnam.
A queste due cause probabilmente qualcuno potrebbe aggiungerne altre, che, in fondo, a mio avviso, altro non sarebbero se non ulteriori (e forse anche pletorici) “corollari” alle due poc’anzi citate. Non si vuole affrontare in questa sede il problema relativo alla “fondatezza” delle cause stesse, ma soltanto sottolineare il fatto che esse furono, comunque, sentite e vissute come “vere”, a seconda delle rispettive posizioni ideologiche, dagli opposti schieramenti, anche perché la propaganda delle due parti in conflitto batté sempre, e pressoché esclusivamente, su queste due tesi di fondo, ciascuna parte parlando al “proprio popolo” (2) .
Enzo Sardellaro
Nota
1) Jean Sainteny, Histoire d’une paix manquée: Indochine 1945-1947, [Paris, Amiot-Domont, 1953].
2) Intorno alla storiografia vietnamita contro l’ Imperialismo e il Neo-colonialismo americano, ricordo qui gli articoli dell’economista Vo Nhan, pubblicati sulla Rivista di lingua francese Le Courier du Vietnam. Per la storiografia americana dell’epoca, cfr. Bernard Fall, The Vietminh Regime, New York, Institute of Pacific Relations, 1956; Le Vietminh, Paris, Colin, 1960; Street without Joy, Harrisburg, Stackpole, 1961; The Two Vietnam, New York, Praeger, 1965).
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