Mi piaceva Venafro.
Di sera era un gatto,
razza grigia e melangiata,
l'innesto barbarico
di troppi amplessi.
Una costola asciutta,
così, per passare il tempo estivo.
La cosa buffa era che non
ci somigliava, se non per
quella fantastica abitudine
di sentirci addosso un altro accento.
E qualche errore stava pure là:
nei segnali stradali, nel bar
adunco come un gomito,
e nelle pozzanghere.
Mi piaceva Venafro,
di sera.
Sembrava mi guardassi davvero:
che sulle mie caviglie fosse
sollevata la fine del mondo,
per proporzioni e possibilità.
Che ci volessi le zampe di una casa.
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