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Mille e ventidue

di Emilia Filocamo
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Pubblicato il 10/01/2017 21:18:08

La mia follia porta il tuo nome,

e ho una sola occasione per guarire.

Questa occasione si chiama

distanza: è una roccia issata

al comando di un'antica

ciurma, lisca di nave  al

guinzaglio,  bestia dal fasciame

asciutto, convessa lingua di

ruminante in apnea.

La mia cura sta in cima

a questo orrido gigante:

occorrono giorni e giorni

di degenza, un'incisione

spropositata quanto l'urlo

delle gambe dopo l'esplusione.

Ecco il piagnucoloso e viscido

fagotto! Nocciolo/ frutto

di una spinta, il colpo in

canna maturato nove  mesi,

meglio di un fagiolo nel baccello

arrotondato, lo sputo trionfo

di una grassa fava.

L'infermeria è più o meno

 a metà strada: più su stanno

suture e sverminanti.

Credevi fosse una gita

visitarmi, retrocedere con

il piglio distaccato di un'ispezione.

Ma io trattengo indizi!

Colleziono, e tengo la mia parte.

Adesso mi vorresti sana, invece

starnutisco: quando ero ancora

intera, invocavi il taglio.

Il sangue che ti dono

è un pachidermico architrave.


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