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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Note sull’amore

Argomento: Esperienze di vita

Saggio di Marcel Proust (Biografia)

Proposta di Redazione LaRecherche.it

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Pubblicato il 05/02/2008

L'amore è la sola passione dell'anima che la conduce all'estensione, essendo simile ad una malattia dell'anima, mentre invece l'ambizione, la sensualità, l'amor proprio ne sono come i divertissements.
Un libertino innamorato che per un'operaia dimentica le ragazze, i loro merletti e il loro belletto, i viziosi di ogni genere che ostentano il loro disgusto per i professionisti del loro vizio, non testimoniano di meno attraverso queste azioni che attraverso il linguaggio lirico, metafisico, ideale nel quale esprimono i loro desideri più fisici la celeste origine dell'amore.
L'amore non pretende solamente di trovare l'amore, pretende di cercarlo. Il nome di "ragazze" e gli attributi di questa professione, il nome di un vizio o di un bisogno gli esclamano non solo: "tu non troverai l'amore", ma "quello che tu cerchi, non è l'amore, quello che ricerca in te non è amore, è questo piccolo vizio, questo bisogno fisico di stasera". L'amore si rivolta, perché crede di donare l'infinito della sua anima, al di là del corpo, delle sue infermità, del momento, della durata.
L'amore ha, contro l'ambizione, contro la pigrizia, contro il vizio, per strapparci da essi e per ricondurci al pensiero, una potenza che il pensiero non conosce. È la potenza del Piacere e del Dolore.
La febbrile esigenza del libertino che vuole una verginità è una forma indiretta e bassa, ma significativa e presente, dell'eterno omaggio che l'amore rende all'innocenza.
Quando eravamo bambini, c'erano delle bambole che per lungo tempo avevamo desiderato, altre che avevamo amato per qualche tempo, altre che viste per la prima volta il mattino di Capodanno, di buon'ora, sotto la lampada accesa, sulla tavola piena di giocattoli ancora legati con lo spago e imballati, ci hanno, in quell'istante insolito, colpito d'amore con un misterioso colpo di fulmine e ci hanno affascinato col loro sorriso immobile e amabile per gli anni a venire. Nell'età in cui non si possiedono più bambole, quando il mattino del primo giorno dell'anno non viene più accesa la lampada sulla tavola vuota, abbiamo tentato di avere, per giocare con noi, per tenerci compagnia, per serrarle sul nostro cuore piangendo, quelle bambole viventi dagli occhi più mutevoli, i capelli più dolci, i corpi più resistenti e più morbidi e che vengono chiamate donne. Ma, ahimé!, non possiamo più abbracciarle quando vogliamo, impedire alla gente che non amiamo di averle. Esse non hanno sempre voglia di giocare o di vederci piangere. Non possiamo romperle quando vogliamo. Da lì il dolore. Forse da lì anche l'amore.

L'amore risveglia presso l'uomo più semplice un desiderio di sembrare tanto più ardente, più sfrenato e malinconico, il quale, essendo desiderio di sembrare tale a uno solo e non a tutti (come l'ostentazione), non può trovare come questa fa nel riconoscimento da parte degli altri la consolazione dello scacco presso una sola persona. Il filosofo più distaccato dai benefici del mondo ama una snob; egli si ricorda di avere delle ricchezze, una posizione, le coltiva, le fa vedere e fa aprire da un fabbro il cassetto di gioielli la cui cerniera chiusa da troppo tempo non si apriva più. E li dona a coloro cui crede di poterli far accettare, e agli altri li mostra. Lascia che si susseguano i suoi inviti a cena. Il più modesto diviene fatuo, il meno elegante, un dandy, il più sudicio diventa impeccabile, il più intelligente, se ama una stupida, fa dello spirito.

L'anima, fintanto che dura l'amore, si trova nella convalescenza dal colpo che l'ha abbattuta, rimane ampliata presso di sé, non si espande più verso l'esterno, e non desidera farlo. Ci sono tanti di quei fiori, libri, profumi dolci e rari attorno alla sua chaise longue, distesa accanto all'invetriata dove s'infiamma il misterioso ardore del cielo, del cielo così vicino e così lontano, così vicino che i suoi riflessi gli toccano la mano, così lontano che non può mai avvicinarlo. L'anima rimane durante lunghe ore senza desiderare di uscire da se stessa per librarsi verso i piaceri dell'ambizione, dell’amor proprio e della sensualità. Per questo 1' amore è anche propizio alle arti dell'anima, al contrario dell'ambizione, della sensualità e dell'amor proprio dai quali la guarisce.
I bambini con le loro bambole e gli uomini con le donne agiscono precisamente nello stesso modo. Sarà forse perché gli uomini, amando le donne, si credono ancora quei bambini che giocavano con le loro bambole, o piuttosto perché i bambini che giocavano con le loro bambole si sentivano già gli uomini che un giorno avrebbero amato le donne?

Talvolta una donna o un uomo ci lasciano intravedere, come una finestra oscura che si rischiari vagamente, la grazia, il coraggio, la devozione, la speranza, la tristezza. Ma la vita è troppo complessa, troppo seria, troppo piena di se stessa e come troppo carica, il corpo umano con le sue multiple espressioni e la storia universale che esso reca scritta su di sé ci fa pensare a troppe cose differenti e meno pure, per cui mai una donna o un uomo rappresenteranno per noi la grazia senza accessori, il coraggio senza freno, la devozione senza riserve, la speranza senza limiti, la tristezza senza mélange.
Per gustare la contemplazione di queste realtà invisibili che sono il sogno immutabile della nostra vita e per non avere solamente, di fronte a donne e uomini, il brivido del loro presentimento, bisognerebbe che delle pure anime, degli spiriti invisibili, dei geni che avessero la rapidità del volo senza la materialità delle ali ci concedessero lo spettacolo dei loro sospiri, dei loro slanci, della loro grazia senza internarla nel loro corpo. O, poiché la festa sarebbe più bella se anche il nostro corpo potesse gioirne, bisognerebbe che il gioco di questi spiriti s'incarnasse, ma in un corpo sottile, privo di grandezza e privo di colore, insieme molto lontano e molto vicino a noi, che ci offra nelle profondità di noi stessi la sensazione della sua freschezza senza avere temperatura, del suo colore senza che esso sia visibile, della sua presenza senza che essa occupi spazio. Bisognerebbe anche che, sottratto a tutte le condizioni della vita, fosse rapido come un secondo e preciso come questo, ché niente ritarda il suo slancio, impaccia la sua grazia, appesantisce il suo sospiro, soffoca il suo lamento. Noi riconosciamo in questo corpo esatto, sottile e delizioso il gioco delle pure essenze. È l'anima rivestita di suoni, o piuttosto la migrazione dell'anima attraverso il suono, ovverosia la musica.


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(Tratto da Una domenica al conservatorio e altre prose, I quaderni di Via del Vento, Via del Vento edizioni, Pistoia, 2003. Frammento del 1900. Prima edizione in “Arts, Spectacles”, nov.-dic. 1952, pp. 1-5, intitolata Un grand inédit de Marcel Proust: Notes sur l 'amour.)

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