Non è la stessa cosa, l’ora che viene
per affondare le radici
nella nostra parte umida, e tornare
nelle zone più profonde?
Ha degli occhi di carne
terreni fino in fondo
per avvicinarti al cielo.
Al di fuori di ogni linguaggio
mi soffoca il petto e non parla.
Canta. Poi tace.
Allora lo vedo, capace di Dio
che è nel grembo. Misericordia-
mi insegna- in ebraico ha la stessa radice
di cavità delle nascite, e in ogni momento
dobbiamo rispondere
di quello, che è in Noi-
con la cosa sposata, quella che ha peso.
Non chiamarla utopia il non luogo per essere,
nel sabbat primordiale ha lo spazio.
Di ogni respiro futuro
mangeremo il pane senza residui
e il sangue appena giorno
farà battere il cuore
sui due versanti della luce,
come una fidanzata.
Lascia che mi avvolga, ora, nel tuo sonno,
nel canto semplice e quotidiano, per sparirvi
dentro- prima degli occhi-
per ciò che brilla nella lontananza
di quello che stanno per dire le parole
Nel poco che giunge. Mi rannicchio qui,
il più vicino possibile al prima della nascita
della respirazione, al soffio, alla possibilità
di parlare. Danziamo ora.
Di una lunga e ardente danza
il nostro corpo è verbo che ride, cantando
poi un giorno fino al silenzio,
per onorare il nostro non finire.
Tutto comincia là…
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