Di tutte le cose che vorrei,
quella sarebbe la più prodigiosa.
Porterebbe il tuo nome,
la tu faccia rimpicciolita con orgoglio.
Non so se sarà mai chiamata,
se metterà carne o impalcherà
la molle architettura con femorini
acuminati e vivaci, giunture ansiose.
Per ora se ne sta annodata,
ancora implume.
Informe. La macchia senza direzione
di blu o di rosa non punta, non scalcia.
Un tarlo che mi intasa il sonno, dallo sguardo
bellissimo e la statura egregia.
So che ti somiglierebbe per come sai
ammaliare il mondo.
Un verricello per spurgarmi in urlo
con la schiena appaiata ai tuoi colori.
Da me vorrei dragasse solo il buio
occhio che mi occlude.
Per un giorno sapere il mio ventre in affanno,
ed esploso. Bianco come i cavalli
quando smettono la corsa più stanca.
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