In fil di penna, ma con l'inchiostro decisamente nero.
Non ci si aspettava di meglio che una buona scrittura, ricercata e doviziosa di particolari, per un certo verso addirittura elegante, ricca di passaggi agili, mai affannosa (di chi arranca), come si suol dire, esercitata “in fil di penna”. La stessa struttura è molto articolata, e la vediamo munirsi di contrafforti e piloni al pari di una architettura gotica, tuttavia senza gli orpelli del gotico fiorito, al contrario risulta piuttosto scarna, quasi minimalista. In cui il lettore è trascinato a forza, in una sorta di realtà sclerotizzata, in cui molti sono gli elementi chiamati a concorrere: l’esorcismo, il profetico, la malvagità, la diavoleria, l’apocalittica. Antropologicamente parlando segna un ritorno all’animismo, allo sciamanismo, all’etnopsichiatria e le conseguenti modifiche dell’ordine sociale, come causa di ritorno alle paure ancestrali che hanno condizionato il cammino dell’uomo. Da cui i disordini mentali (individuali), le turbe dell’inconscio (collettivo), modificate dalla religione e dalla società contemporanea, secondo l’impronta culturale (della razza, dell’ambiente naturale, della conoscenza) cui la storia fa riferimento (i giorni nostri). Scrive H. P. Lovecraft: “Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non c’è netta distinzione tra il reale e l’irreale, che le cose appaiono come sembrano solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso cui le percepiamo”, gli orpelli, appunto, del gotico fiorito cui sopra facevo riferimento. “Ma come predetto dalle profezie, l’equilibrio e' stato spezzato e qualcosa di estremamente pericoloso e' riuscito a passare. Qualcosa di cosi antico da non aver lasciato negli uomini neppure il ricordo di sé”. È dunque ancora la notte, il buio, le ombre, le capacità intuitive e paranoiche che differenziano la normalità dall’anomalia concettuale dei personaggi, qui straordinariamente codificati, al punto da farci sentire il loro fiato sul collo, avvertire i loro sguardi che si aggirano tra noi (lettori), alla ricerca di una qualche identità labile da penetrare, da sconvolgere e infine da uccidere: “sebbene siano tutti morti”. Una storia realistica nelle intenzioni così come nelle ipotesi estreme tirate a forza dentro la narrazione: “Chi sei?, chiese di nuovo la voce”, “il vecchio monaco fissò i quattro cavalieri (dell’apocalisse) che correvano verso le orde demoniache guidate da N’Tala Jeza, la divoratrice di anime”, “Pensavano di proteggere chi da cosa?”, “I traditori della Vera Fede erano stati puniti, e gli autori del complotto ai danni della Chiesa stavano per essere annientati. La punizione divina era stata terribile, non era stata dimostrata alcuna pietà per chi stava cercando di minare le fondamenta di Santa Romana Chiesa”. Ma questi sono soltanto alcuni passaggi di un thriller dell’orrore, impegnativo quanto sofisticato, fitto di colpi di scena da non lasciare spazio ad alcuna via di fuga … “da chi, da cosa?”, se i varchi (le porte spalancate attraverso cui il Male può irrompere e infettare la nostra realtà), “sono tenuti sotto controllo da una Volontà più alta e da un delicato controllo di forze”, “forse, la salvezza e' nelle mani di un monaco (il Diacono) senza memoria, senza nome, senza passato. Un uomo la cui vita e potere sono un enigma che deve essere risolto in fretta, prima che sia troppo tardi”. E una ragione forse c’è, basta ammetterlo con noi stessi … perché niente accade mai per caso.
Andrea G. Colombo non ci è nuovo, la sua “visione” dell’horror è stata un susseguirsi di assalti alle torri della nostra psiche, mettendoci ogni volta alla prova: da In fondo al nero (Mondadori), alle occasionali novelle e presentazioni. Ma non vi aspettate una Patricia Highsmith o un Stephen King, e neppure un altro Dan Brown, inattendibile perché infondato, impreciso e, soprattutto, mancante di quel sentore tra musica (hard rock) e poesia (maledetta) che fa dell’horror la quint’essenza della narrativa.