«Mamma, dillo...»
È il quarto giorno, e non sono ancora morta. Mancano due ore al pranzo e tredici al termine ultimo della mia vita. Mia figlia è rimasta al mio fianco dal primo giorno, come io al suo settantacinque anni fa.
«Sposta le tende per favore, non fanno entrare la luce del sole»
«Non ti sono mai piaciute le tende, vero mamma?»
Il letto sul quale sono sdraiata da quattro giorni mi abbraccia comodamente, anche se limita ai suoi confini i miei. Non voglio morire con il sapore del sole nascosto dalla stoffa di lino.
«Mamma» l’azzurro degli occhi di mia figlia sorride al sole «fra poco arriverà, sei pronta?»
«Dirò quella parola al momento opportuno, e non certo perché qualcuno mi obbligherà a farlo»
«Lo so mamma, ma sono passati quattro giorni. Nessuno è mai arrivato così tanto oltre»
Tra tutti i modi con cui la Natura poteva decidere di mettere termine alla nostra vita, ha scelto di farlo per mezzo di una parola. Potrei rimanere invalida in questa stanza per sempre, senza preoccuparmi di morire. L’evoluzione, invece, ha deciso di dare a ognuno la responsabilità del termine della propria vita. Nessuno ha compreso come questo sia possibile, ma è stato semplicemente accettato. Dare voce a questa parola comporta morire, ed è l’unica a essere usata una volta sola nella vita.
L’attenzione di mia figlia è catturata dalle voci decise che arrivano dal corridoio, passando indisturbate tra quei muri costruiti con l’unico scopo di separare.
«Mamma, credo sia arrivato»
I vetri ci riparano dal vento freddo della giornata, ma non dai suoi colori. Mentre mia figlia è attenta alle parole filtrate da un blocco di cemento, lascio i miei pensieri liberi di scorrere verso il mondo attraverso una piccola finestra.
«È lei?» Il funzionario governativo ansima leggermente, asciugandosi la fronte dalla fatica dei cinque piani di scale. Guarda mia figlia che annuisce leggermente.
«Il Governo, di cui sono l’ufficiale rappresentante, le porge i suoi più sentiti complimenti per il raggiungimento dei cent’anni, e profonde condoglianze per la sua imminente dipartita»
Stringendomi la mano mia figlia non riesce a nascondere i suoi pensieri.
«Ai sensi dell’articolo sette, comma tre e paragrafo otto della costituzione, lei ha il dovere di morire»
I raggi del sole entrano nella stanza per scaldarsi da questa fredda giornata. Si sdraiano comodamente sulle coperte lilla, riposandosi dal loro lungo viaggio.
«Signora, conosce bene quali sarebbero i problemi se nessuno di noi morisse. I nostri figli non avrebbero un futuro sostenibile per il numero eccessivo di persone in vita»
Ho passato cento anni e quattro giorni non potendo usare questa parola. Ci è stata tolta la possibilità di esprimerla, ma ho imparato a viverla. Quello che la Natura ha tolto come suono, l’ha donato come realtà.
«Mamma, come stai?»
Mia figlia è sempre stata molto attenta verso di me. I miei pensieri l’hanno sempre cullata come una bambina, nonostante la vita l’abbia resa madre e nonna a sua volta. È sempre stata al mio fianco, accompagnando il mio sorriso nei momenti felici e stringendomi per mano in quelli più bui. Ha gli stessi occhi di mio marito, che compiendo cent’anni cinque anni fa, si è trasformato in un’emozione. Quando guardo gli occhi di mia figlia lo rivedo, dentro di me la felicità di un secolo esplode in un battito di ciglia.
«Bene, piccola mia…»
Accarezzo il suo viso per l’ultima volta, salutando mio marito attraverso i suoi occhi. Finalmente posso liberare questa parola dalla sua prigionia, rendendomi libera insieme a lei:
«…grazie»
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