Il bel racconto, prende il titolo dal testo del famoso tango Caminito, è del 1990 ed è la storia di un informatico ritornato in Argentina nella speranza che il ripristino della libertà significhi anche riscatto economico suo e del paese. Farà il viaggio assieme ai personaggi più incredibili; un’astrologa imbrogliona, un banchiere divenuto giocatore d’azzardo, un impresario di circo in rovina, dei militari e ragazzi che emigrano. Un’umanità di perdenti.
La vicenda non può che essere ambientata nella pampa sterminata, nell’infinito nulla. Il protagonista di questo viaggio, che non va da nessuna parte, si lascia trainare dai fatti senza imporsi o lottare, come un impotente naufrago, circondato da personaggi grotteschi. Si tratta, con la scrittura piacevolissima, che gli è congeniale, di un’amara metafora sul popolo argentino, sulla sua ricerca d’identità, sulla solitudine.
Soriano urla disperato “perché non possiamo smettere d’essere ridicoli, patetici, suicidi melanconici, pronti a cadere in tutte le trappole della Storia e patire per tutti i governi dopo aver creduto alle loro promesse?”
Non si tratta stavolta dell’impossibilità dell’esistere, del mal vivere, ma dell’impietosa analisi di un paese tanto amato e raffigurato icasticamente come un treno pronto per partire ma senza macchinista e passeggeri.
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