Pubblicato il 07/05/2008
“ Essere creativi significa considerare tutto il processo vitale come un processo della nascita e non interpretare ogni fase della vita come una fase finale. Molti muoiono senza essere nati completamente. Creatività significa aver portato a termine la propria nascita prima di morire . ” E. Fromm 1959
“Siamo realisti: esigiamo l’impossibile!” diceva un famoso slogan del Maggio francese. “Fantasia al potere” ribattevano nello stesso periodo gli studenti all’Università Statale di Milano. A distanza di anni sappiamo com’è andata la storia politica nei nostri paesi, a confermare, forse, che per gli adulti non è così facile passare dal piano della realtà al piano della rappresentazione ideale nella quale manifestare desideri e tensioni che non trovano espressione altrove. I bimbi, invece, passano facilmente dal piano del reale a quello del fantastico e proprio lì trovano un maggior senso di sicurezza di quanto gli sia consentito sperimentare sul piano di realtà. Essi crescono con i famosi oggetti transizionali, come bambole, coperte di Linus, orsacchiotti che portano sempre con sé e dai quali ricavano quel senso di sicurezza che crea la base agli ulteriori rapporti affettivi che in seguito stabiliscono con le persone. La fantasia è già al potere nel mondo del bambino che stabilisce nuove connessioni tra pensieri ed oggetti portandolo a crescere, innovarsi e a cambiare. Per l’adulto essere realista spesso ha il senso di esigere l’impossibile, ovvero ciò che non è ancora possibile. Ciò che ricerchiamo in continuazione è la novità, quello che si colloca al di fuori delle previsioni scontate, inoltre viviamo in un regime di doppia verità che da un lato riconosce la realtà, dall’altro la sconfessa rinviandola nella rappresentazione percettiva- soggettiva. Accettare questa natura di incertezza è il fondamento per una vita felice e creativa. Un giorno chiesi ad un amico che cos’era per lui la creatività, egli mi rispose: “Ciò che inseguo giorno per giorno, ora per ora. A me bastano, infatti, poche ore trascorse senza aver fatto qualcosa di creativo per sentirmi male, ore in cui ho momentaneamente perso il contatto con le mie ‘caverne’. Tutto quello che si è detto sulla creatività non è stato sufficiente a svelarne il mistero. Provo un vago senso di disagio a parlare della creatività come della bellezza: mi sembra di infrangere un incantesimo sacro, cui le parole possono solo vagamente alludere”. Sono d’accordo, ma sull’infrangere un incantesimo mi sembra un po’ esagerato, o per lo meno devo ammettere subito che amo infrangere gli incantesimi, del resto a quale principe non piacerebbe baciare Biancaneve per farla ritornare in vita e vivere felici e contenti senza incantesimi? D’altro canto è altrettanto vero che siamo tutti figli di Aristotele e del “cogito”, ma proprio per questo incipit razionale c’è la necessità di sviluppare linguaggi che sfuggono alla razionalità e non per questo sono meno veri. La danza e il teatro, ad esempio, non meritano il trattamento marginale a cui sono continuamente sottoposti dall’entourage scientifico- istituzionale. L’arte in genere dovrebbe, con i suoi linguaggi, apportare una grande ricchezza comunicativa e profondamente umana alla società anche se poco ha a che fare con quel tipo di pensiero razionale-aristotelico e molto con l’agire istintivo. “Siamo realisti: esigiamo l’impossibile!” Esprimiamo la capacità di godere del mondo che ci circonda quando siamo fondamentalmente creativi, per esempio lavoriamo volentieri al colmo dell’energia e dell’entusiasmo. “Siamo costretti a considerare la creatività piuttosto come una regola che come un’eccezione”, scrive L. S. Vygotskij, per il quale l’esercizio creativo è “qualunque attività umana che produce qualcosa di nuovo”, quindi è la novità creativa che definisce la percezione di essere vivi. Potremmo affermare: “Creo dunque esisto” oppure “Non creo quindi non ho la certezza di esistere”. La creatività è solitamente lasciata in dotazione agli artisti, ma tutti possiamo e dobbiamo esercitare quegli aspetti del pensiero divergente, dettati dall’emisfero destro del cervello, che costituzionalmente fanno parte di noi stessi. L’adulto per lo più è “educato” al pensiero convergente, razionale e logico, ciò restringe lo spazio di intervento del pensiero stesso e in particolare di quello divergente, creativo e alogico che anch’esso ha diritto di cittadinanza in una crescita equilibrata. Si pensi solo ad un campione d’intelligenza, quale fu Leonardo Da Vinci e alla sua modalità di pensiero scientifico-ludico-razionale. Anche noi con le nostre possibilità possiamo diventare dei piccoli campioni d’equilibrio creativo se accettassimo che, come dicono in Oriente, “di ogni verità (razionale o no) è vero anche il contrario”. Questo non vuol dire non essere coerenti eticamente con il proprio credo umano, religioso, politico, ma semplicemente che l’utilizzo di una sola verità di pensiero limita le potenzialità mentali, in altre parole stiamo trascurando di guardare la realtà dall’angolazione del pensiero intuitivo, indipendente dal Super- Io, dalla morale e dalle norme sociali. L’istinto è parte integrante del processo fisico, emotivo, mentale, anche se a volte è giudicato “infantile” in quanto richiama le origini storiche e antropologiche dell’uomo stesso. Ricordiamo che gli adolescenti di oggi sono stati bambini soltanto ieri e gli adulti di oggi sono stati adolescenti fino all’altro ieri, i vecchi di oggi sono stati giovani fino a qualche anno fa. La dimensione temporale dell’esistenza riporta sempre, volenti o nolenti, all’infanzia, al bambino che c’è in ogni adulto. Come sappiamo bene, i primi anni di vita sono il fondamento strutturale del nostro equilibro psico-fisico e relazionale. La manifestazione di un sintomo di malessere nel bambino è costituita dalla sua inattività cinestetica. Winnicott affermava che quando un bambino gioca si ha la certezza che sta bene. Se un bambino non gioca, con gli altri o da solo, quest’inattività deve preoccupare l’adulto. Che cos’è il gioco? La definizione più bella di gioco è quella che lo identifica con un’attività che ha il proprio aspetto gratificante in sé e non nel fine o nel risultato che produce. Il gioco si presenta nel mondo umano in modalità assai complesse perché mette in moto, oltre al patrimonio istintuale, anche la vita emotiva, quella intellettiva e i processi di socializzazione. Nessun uomo, seppur ricopra un posto di alta responsabilità, può sottrarsi al gioco, non sarebbe un uomo sano e ci sarebbe da preoccuparsi se non si “lasciasse andare” a manifestazioni ludiche che impegnano il pensiero divergente. Per il bimbo, il gioco è indispensabile come l’aria che respira e nel quale il bimbo diventa adolescente e poi adulto. Ci possiamo chiedere quindi come possa l’adulto trascurare un’attività così decisiva come quella ludica? Quale prezzo dovrà pagare se rinnega la giocosità istintuale insita nella natura umana? Il blocco creativo in un individuo ‘normalmente dotato’ è sintomo di un malessere più profondo da ricercare nella coscienza. A volte è necessario un lavoro analitico più o meno lungo per mettere la persona nelle condizioni di sviluppare nuovi progetti di vita. A volte è sufficiente agire direttamente sul sintomo ponendo la persona in una condizione di decondizionamento dal blocco creativo. Come? Agendo sull’extraquotidiano, cioè quell’area che comprende l’arte, il gioco e tutte le attività che rifuggono la banalità e la volgarità dettata dalla routine, di schemi comportamentali che si ripetono sempre uguali a sé stessi. Sappiamo dalla cronaca quotidiana quali terribili omicidi familiari e sociali è capace di compiere un soggetto che non sa più giocare o che non esercita da troppo tempo l’ilarità e lo scherzo. “ L’artista, - dice Roberto Benigni - il giullare è un uomo che vuol dare amore e vuole ricederlo, vuole essere lieto e superare il dolore mutandolo in una risata.” La creatività è uno spazio dove ci si concede molti permessi tra cui quello di giocarsi, ascoltarsi, esprimersi con modalità inconsuete utilizzando il corpo. Quale miglior setting del teatro è in grado di abbattere i comportamenti schematici, copioni ripetuti, personaggi ipercorazzati? Vi è un esercizio meraviglioso che si propone in teatro: in silenzio si prende per mano un compagno e si sta lì fermi, mani nelle mani a guardarsi negli occhi per cinque minuti. In quegli occhi si può vedere la profondità, si possono notare paure e gioie di un’intera vita. Quando poi si esce dal teatro e camminando per strada si incontra qualcuno e si abbassano gli occhi per pudore o per non incontrarlo ci si rende subito conto di come e cosa si pone tra noi e gli altri, di come si blocca la comunicazione. Un piccolo trauma anticreativo che assommato a tanti altri schemi comportamentali difensivi porta a vivere senza vitalità. Nel gioco dell’improvvisazione teatrale interpretiamo spontaneamente personaggi molto diversi stimolando in noi stessi la capacità di allontanarci dai ruoli e dagli schemi comportamentali stabiliti. Il nuovo personaggio, nato dal corpo in azione, è in grado di emozionare l’attore riportando in lui una nuova scena ricostruendo quella spontaneità perduta. Se il teatro come gioco fosse applicato in diversi settori dal sociale, all’educativo, all’aziendale potrebbe portare un grande contributo per le risoluzioni dei conflitti relazionali, psicopedagogici o per la formazione di staff di lavoro. Nei nostri laboratori teatrali, attraverso il gioco dell’improvvisazione teatrale, interpretiamo spontaneamente personaggi molto diversi stimolando la capacità di allontanarci dai ruoli e dagli schemi comportamentali stabiliti. “Facciamo finta che sono il papà” dice Marco di nove anni e si atteggia con il petto in fuori, si raddrizza la schiena, si dà una certa importanza, s’immedesima nel suo modello, in un’immagine materiale e simbolica che lo proietta nel futuro. Spesso un adulto che gioca troppo è una persona che ha paura del dolore e lo tiene lontano scherzando in continuazione. Di questi adulti il mondo ne è poco popolato, al contrario della gran massa di adulti che nel dolore ci stanno perché hanno paura dei cambiamenti, dell’incertezza, della precarietà. Questa paura inconscia si manifesta nella paura di giocare, infatti, il gioco porta a prendere contatto con la precarietà del comportamento e conduce verso un possibile cambiamento di stato. Non è automatico il passaggio dal gioco alla creatività, ma è certo che la favorisce come facilita il passaggio al simbolo. Jung leggeva nei disegni e dipinti dei suoi pazienti l’evoluzione del disturbo mentale ed era in grado di stabilire l’archetipo sottostante, cioè quel nucleo di significati simbolici in grado di indirizzare le scelte di vita o di morte, di progresso o regresso, legate allo star bene o star male, in altre parole all’individuarsi come persona unica e originale. Freud stesso ha ideato il gioco delle libere associazioni per analizzare ciò che la persona non è in grado di comprendere con il pensiero convergente e razionale. Altri dopo di lui, S. A. Mednick (1962), hanno scoperto che la caratteristica essenziale del pensiero creativo è proprio “la capacità di mettere insieme in modo utile idee di solito lontane l’una dall’altra, cosicché più sono reciprocamente remoti gli elementi delle nuove combinazioni e più sono creativi il processo e la soluzione”. Nella nostra esperienza del processo creativo vi è un punto in cui spazio e tempo si equivalgono, s’intersecano e producono la soluzione. Un’esperienza eccezionale di fusione nella quale la persona si percepisce come unità rara e particolare. In quel punto avviene il cambiamento. Un attimo prima l’uomo è ordinario, quotidiano, un attimo dopo è straordinario, extraquotidiano e lì, in quel punto, varca una soglia e accede al suo essere profondo che alcuni chiamano Sé. Negli anni ’60 volevamo portare la creatività al potere, ma non avevamo capito che ciò è strutturalmente impossibile. Il governo delle cose nulla ha a che vedere con il potere personale su se stessi. Non illudiamoci, la creatività non può andare al potere, sarebbe una contraddizione in termini. Nonostante ciò sappiamo che quando il bambino gioca diventa più bambino assumendo il potere su se stesso, sul proprio corpo, sulle emozioni e sulla mente e un adulto che gioca è in grado di mettersi in contatto con la propria parte creativa e quindi di esercitare il proprio destino. Se pensassimo il potere politico al servizio della creatività, concepita come cambiamento, dovremmo immaginare continui processi destabilizzanti, questo non potrebbe essere sopportato dal potere stesso che mira alla conservazione di sé. Se affiancassimo però al re un giullare, al ragionamento l’improvvisazione, al trionfo del pensiero economico quello della ragione, al lavoro mentale quel - lo manuale, all’attività finalizzata quella non finalizzata, allora forse il mondo cambierebbe. Potremmo concepire di essere bianco e nero, yin e yang, razionali e irrazionali. Ponendo la creatività come elemento guida, essa diverrebbe sia un valore sia una metodologia, in altre parole l’etica capace di guidare la barca umana nell’oceano dell’instabilità e degli opposti. L’evoluzione umana è costellata di grandi cambiamenti, il nostro corpo rinnova continuamente le sue cellule, la psiche è costantemente in stato di equilibrio mutevole, la personalità è decisamente poliedrica eppure c’è un ordine preciso dentro e fuori di noi. Tutti i sistemi viventi autonomi, a partire dalla biosfera, sono sistemi in non equilibrio, ma spontaneamente trovano un ordine nella complessità delle attività e ciò avviene sia per gli ecosistemi sia per sistemi di tipo economico e sociale. Per esempio gran parte dei conflitti e guerre nascono dalla non accettazione di diversità culturali e di razza, mentre grandi imperi nella storia, da quello Inca a quello Romano si nutrivano della comprensione delle diversità; anziché essere fonte di separazione la diversità rappresentava, almeno all’inizio, la peculiare ricchezza del loro potere. Le diversità sono ciò che potrebbe permettere di trasformare l’antagonismo in complementarietà, la divisione in cooperazione e l’esclusione in inclusività. È così che la creatività nasce dall’unione di diversi e da un pensiero decisamente positivo la cui tappa successiva potrebbe essere la scoperta del sacro come senso del nostro valore profondo. Ma questo lo vedremo nella prossima puntata, per ora accontentiamoci di sapere che “creatività significa aver portato a termine la propria nascita prima di morire” (E. Fromm 1959), ovvero considerare tutto il processo vitale come un cammino di creazione di sé.
WALTER ORIOLI, Psicologo, psicoterapeuta, teatroterapeuta, Associazione Politeama, Monza (MI) - info@teatroterapia.it
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