Per accogliere tanto flutto,
tra le tue pupille adorne di sale,
devi essere un minuscolo infinito
che viaggia a lungo aprendo la notte
in un giorno bellissimo.
Altro non so.
Con la scia della tua grazia,
fra le dita strette e i palmi uniti
come un nido alle sue nozze,
ti porto l’acquabuona,
quel poco d’oro del mio fiume
per bagnare il castello,
l’odore di more prese nei fossi
e una lucertola, scolpita nel legno.
Tra le mussole dei sogni
mi togli dal viso i capelli,
e tutto è così perenne
sulle tue gambe,
brani d’ali giganti.
La giumella del semplice
-ripeti-
per tenere insieme le cose,
per le offerte,
dalla fontana alla bocca,
le nostre piccole urne.
Siamo stati angeli nell’acqua,
terra lenta,
resine e scorze dei pini,
alberi pieni di anelli.
Tra le pieghe della carne
poco prima della nona lunazione
delle braccia tese, mi hai promesso
i segni riuniti dei nostri Natali,
quelli più piccoli.
Ora la casa respira
come una perla vera
e sotto il sole
il tuo nome crea l’ombra
come un grande albero
che tiene le sue assise
nella luce.
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