LA REALTA’ DEL DOLORE in Carlo Emilio Gadda
di Ninnj Di Stefano Busà
Nasce a Milano nel 1893, muore a Roma nel 1973, si laurea in ingegneria ed esercita la professione sia in Italia che all’estero dove soggiorna per alcuni anni. In qualità di ufficiale degli Alpini prende parte alla guerra (1915/1918) ed è lì che gli scatta l’impulso dello scrivere, la sua vocazione di narratore infatti prende l’avvio con la pubblicazione della prima opera: Le bizze del capitano in congedo (1918) al quale segue il romanzo: Racconto italiano di ignoto del Novecento (1924); La meccanica (1926); Novella seconda (1928). Quasi tutte queste opere risultarono come lavori preparatori allo scrivere che costituiranno più avanti nel tempo, il tema e il profilo di ricerche filosofiche a posteriori: La cognizione del dolore (1963) che secondo il mio giudizio costituirà un’opera fondamentale nell’iter letterario dello scrittore milanese ne delinea la struttura, le linee essenziali e l’indirizzo culturale che più avanti verranno a dare la svolta del suo operato con l’altro romanzo: Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1957).
che esce al pubblico nel 1946 in 5 puntate sulla rivista La Letteratura, pubblicato oltre dieci anni dopo, nel 1957, da Garzanti.
Con quest’opera a Gadda viene decretata la notorietà, per così dire, gli viene riconosciuta ufficialmente dalla grande critica, la capacità di abbracciare la narrativa da un punto di vista più acuto e ingegnoso, idoneo a rappresentare il disordine e i paradossi del tempo. Ciò, anche per il fatto, che esercita a Roma presso la RAI la professione di giornalista, la qual cosa, da sempre, ha regalato la visibilità. A mio avviso (e a quanto pare non solo mio), la sua opera migliore s’identifica con La cognizione del dolore; nella quale vi si riscontra una contaminatio diversificata, una sorta di miscellanea di stili, di virtuosismi sintattici, di barocchismi oltre che l’utilizzo ai vari livelli di scrittura, di taluni echi manzoniani allora in voga, il dialetto popolare, termini arcaici, obsoleti, e altri di pura invenzione, vocaboli desueti, che però risultano fondamentalmente utili nelle stesura del romanzo. L’autore nella sua scrittura così articolata e frammista volle rappresentare la complessa realtà di quei tempi, insieme a dati psicologici che per essenza e comportamenti costituiscono la società del momento storico: percezioni, suggestioni, allusioni, riferimenti che determinano l’involucro sorprendente e originario di una scrittura multiforme quale quella di Gadda, lasciano scoprire l’eco riflettente e comportamentale di un tempo (fin da allora fortemente compromesso) che ne delinea un linguaggio moderno attraverso l’analisi degli orrori, dei compromessi e inganni, della stupidità che disgustano e deludono, epperò, ne riflettono appieno l’asse portante di una società inconcludente e caotica, rivelatrice di un malessere che ne determina la complessità dell’alter ego, malamente insubordinato e reso estremamente insicuro e variamente allocròico dal sistema malato del dopoguerra. Si tratterà pure di una narrazione all’apparenza comica, ma sovraccarica di richiami manzoniani, d’infiltrazioni ingarbugliate e di costruzioni linguistiche di varia natura.
Soltanto che qui Gadda riflette l’intricata matassa di taluni atteggiamenti anche ridicoli ancor più che comici, rivelando una condizione drammatica di esistenza, quasi inamovibile e deteriore.
Seguono altre opere come La Madonna dei filosofi (1931) e Il Castello di Udine (1934). Successivamente in Adalgisa riprende tutti i temi psicologici di astrazione lombarda – il realismo- di ambientazione tardo ottocento strettamente connesso alla sua cultura scientifica, si può dire ebbe molta parte nella sua vicenda letteraria.
L’abbandono dalla città di origine: con prima tappa Firenze e successivamente Roma, favorisce la sua presa di coscienza di un male più generalizzato che deriva dalle seconda guerra mondiale, con il retaggio di sofferenze, di ossessioni, fobie, contraddizioni private, disagi interiori che si riconoscono in atmosfera di catastrofi e drammi più universali, attraverso il senso del Male, del Disordine babelico e tumultuoso, disorganico della grande vigilia che rivoluziona la scrittura, che già investe la società contemporanea del tempo.
Lo scrittore infittisce le tematiche e le implicazioni di una visuale storica della vita, nella quale s’inserisce una concezione che scava a fondo nello strazio di ognuno, e dall’autobiografismo tormentato dell’essere umano “individuale” si proietta verso il superamento della sottile linea di galleggiamento che riconduce lo strazio e la sofferenza masochistici del mondo, in un genere di più vasta interpretazione, che già si pone sullo sfondo, proponendo una linea meno baroccheggiante di narrativa, istruendo, dal punto di vista stilistico, la realtà del dolore.
Con Eros e Priapo, Furore e cenere, (1967), lo scrittore Gadda inserisce il filone storico secondo cui dichiara apertamente la sua indignazione e opposizione alla storia tutta, qui s’intenda cronologica e diacronica che si mostra traditrice in tutti i tempi.
A quel punto manifesta intolleranza e opposizione a quella che ritenne corruzione universale. Molto attiva in Gadda fu anche l’attività saggistica: con Il primo libro delle favole (1952); Novelle del Ducato in fiamme (1953); I viaggi e la morte (1958); I Luigi di Francia (1964); Sono noti i numerosi libri di lettere che conservano l’ossatura del suo pensiero e tutta l’ideologia immaginifica e l’essenza intimista del narrato, comprese le amplificazioni più estese dei suoi sviluppi linguistici: Lettere agli amici milanes; Lettere ad una gentile signora; Lettere a Ugo Bett; Lettere a Bonaventura Tecchi; Lettere a Gianfranco Contini; A un amico fraterno, proposti alla stampa nel periodo postumo alla sua morte 1983/1988. L’editore Garzanti pubblicò in 5 voll, l’edizione completa delle sue opere, diretta per l’occasione da Dante Isella.
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