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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

il ragazzo prodigio

di Amabilino 

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Pubblicato il 01/08/2018 10:59:14

Enrico era un giovane di 22 anni, interessante fisicamente e dotato di eccezionali talenti. Si era laureato con il massimo dei voti e già insegnava Biologia all’ università.Orfano di padre era cresciuto tra mille attenzioni della madre Olga ricercatrice in un laboratorio di biologia. Figlio unico, apparentemente senza alcun problema ma non era così. La sua eccezionale intelligenza lo aveva estraniato dagli amici, dalle ragazze, considerato strano era conteso da scienziati e vecchi professori di università. Frequentava un club privato di intellettuali e grandi talenti e aveva un carattere introverso Enrico non era felice, gli mancavano gli amici della sua età, la spensieratezza dei suoi anni, le amiche e tutto un mondo giovanile fatto di piccole cose, di interessi, entusiasmi, gioia di vivere. A volte, per caso aveva raccolto qualche commento su di lui dai suoi coetanei, commenti ironici, perfidi, la diffidenza delle ragazze. Era considerato un mostro, perfino dai suoi studenti. La madre Olga lo adorava ma talmente presa dal suo orgoglio non riusciva a capire, i mille dettagli che tradivano nel figlio, il suo grande stress e così gli anni si sommavano agli anni fatti di successi professionali ma anche di emarginazione della sua vita privata. Un giorno la madre di Enrico sembrò sul punto di capire la sofferenza del figlio ma fu un attimo e poi ancora una volta distratta dal suo orgoglio materno, del suo privilegio di aver generato un genio. In un’altra occasione, cogliendo nel figlio lo smarrimento, disse con rabbia :

- Cosa ti manca, ragazzo ? Sei un genio, di bella presenza, il mondo scientifico ti adora e ti porta agli altari della celebrità, che cosa ti manca ragazzo ? Forse la mediocrità dei giovani che formano la massa ? A cosa possono tornare utili ? Ignorali perché tu sei il massimo e loro niente.

Quale la risposta del giovane ?

Con ubbidienza ma con grande sofferenza :

-Mamma….essi sono veramente dei mediocri che non capiscono e chiudono la porta in faccia alla diversità. Hai ragione, io voglio vivere nel mio mondo, per la Scienza, per la mia professione.

Una risposta quella, forzata. Enrico si interrogava spesso, si isolava come un vecchio che guarda se stesso, era isolato e gli anni volavano. Enrico aveva festeggiato i suoi 30 anni nel solito modo, professori di università, giovani e vecchi talenti del suo club privato, una festa che sembrava di circostanza, senza veri entusiasmi, forzata. Fu in quella occasione, forse su consiglio delle sue amiche, la signora Olga propose una inedita idea al figlio.

-Enrico…sto pensando di presentarti una donna eccezionale, figlia di una mia collega…Ti va di conoscerla ? Il ragazzo sorpreso e un po’ critico :

- Per caso è una racchia, strabica e sdentata ?

La signora Olga con dolcezza :

-Al mio ragazzo una bruttona ? Non devi neppure pensarlo . E’ una donna di talento, una virtuosa di violino, dipinge, un’artista. Sai che faccio ? La invito a cena per domani , così te la presento… Enrico preoccupato :

- E se poi quella mi snobba ?

La signora Olga sorpresa ma con tono sicuro :

-Su..non fare il negativo.

Enrico ora euforico :

-Mamma mi presti la tua auto sportiva ? Voglio fare un giro.

La signora :

-Ma certo ragazzo ma mi raccomando. Niente bravate è un’auto dei primi anni 50, americana, una NASH HEALEY  e i carrozzieri e i pezzi di ricambio costano una fortuna. Lo sai che quell’auto è un ricordo del tuo papà…Trattala bene. Enrico prese le chiavi dell’auto dal solito mobile della madre, la salutò con un bacio e via come un ragazzino tutto contento del suo nuovo giocattolo, corse veloce verso il garage interno alla villa, azionò con il telecomando la serranda per uscire subito in strada. L’auto, una due posti metallizzata, di color azzurro era una meraviglia, tutta lucida come appena uscita di fabbrica e lui si era messo alla guida di quel gioiello per far colpo sui passanti e per fare un giro, un modo per scacciare i pensieri, per tirarsi su il morale. Si disse tra sé con un sospiro :

- Un giorno ne comprerò una proprio come questa…

Si disse tra sé che non avrebbe fatto bravate per non dispiacere la mamma che lui adorava. Mentre si accodava al traffico cittadino, osservò appeso sullo specchietto retrovisore, un piccolo peluche, lo riconobbe come il suo di quando era bambino ora era lì a fare compagnia alla sua mamma quando usava quell’auto, poche volte in verità perché per il lavoro o per altro usava una utilitaria, un po’ malconcia e stagionata. Guardò i passanti, le ragazze sui marciapiedi che osservavano la sua auto, rombante, come un bolide da competizione sportiva e sognò ad occhi aperti un amore, un incontro importante per vivere di emozioni. Qualche ragazza, vedendolo alla guida di quell’auto d’epoca, gli sorrise con simpatia e allora Enrico si sentì felice, appagato. Gli sembrò in quei momenti di essere come gli altri, come tanti della sua età, di percepire attenzioni ed erano quegli istanti in cui dimenticava i suoi insuccessi con le donne dovuti alla sua natura di cervellone. Era quasi arrivato a Sanpierdarena quando, all’improvviso, si accorse di una grossa macchina scura che lo tallonava. Osservò dallo specchietto retrovisore l’autista e poi un passeggero che gli sedeva vicino e provò un tonfo al cuore. Li riconobbe, erano ex compagni di università, dei mediocri, bulli tra i bulli. Cercavano di spaventarlo, di prenderlo in giro, di ridere di lui e allora cercò di seminarli. Nel traffico era un problema perché l’auto sportiva aveva un motore potente e lui su quella strada doveva cambiare marcia continuamente. Riuscì comunque a seminarli, forse per fortuna ne fu lieto. Quell’inseguimento gli era sembrato uno stupido gioco, di essere una preda che fuggiva dal suo cacciatore. Quando riuscì a parcheggiare vicino la sua casa, tirò il fiato. Si disse tra sé :

-Sempre trovo sulla mia strada qualcuno che mi tormenta ed io a subire. Perché ? Perché non sono come loro ? Avrei voluto una vita normale ed invece, mi tormento perché non sono un mediocre. Era chiaramente avvilito. Rientrò a casa, in cucina trovò un biglietto della madre la quale era uscita di casa con le amiche. Trovò il pranzo pronto e lui a consumarlo in solitudine. Si guardò attorno, vide alcune foto che lo ritraevano con studenti, con professori, con intellettuali e gli sembrò la sua vita vuota, tutto il suo benessere inutile, tutti i suoi successi negli studi privi di significato. Si sorprese notando silenziose lacrime rigargli il volto. Mormorò con un fil di voce :

-Non ce la faccio più, la vita per me è un inferno…

Si ritirò nella sua stanza, si fermò a guardare tutti i suoi ricordi, foto, documenti importanti in cornici, la sua tesi di laurea, i suoi professori, gli studenti a cui insegnava, tutto un mondo di ricordi ma incredibilmente vuoto per lui, di valori, raccolse pigramente su di uno scrittoio una chiave, aprì un cassetto e ne osservò il contenuto. C’era una grossa automatica dentro, comprata chissà perché anni fa in una strada malfamata della sua città, con la matrice abrasa, la prese in mano quasi per sentirne il peso, si assicurò che il caricatore fosse pieno poi la ripose sul mobile. Prese un blocco notes e una penna, ne staccò un foglio come in trance, scrisse lentamente una frase :

Mamma perdonami, non ce la faccio più a vivere. Addio. Riprese l’arma, piangeva silenziosamente consapevole di dare un addio alla vita. Seguì uno sparo, un gemito, poi il nulla. La sua vita era stata come una stella cadente che brilla nel cielo e poi si spegne di colpo. Troppo fragile per vincere le sue angoscie se ne era andato silenziosamente, senza far rumore. E i bulli ? Loro non avrebbero capito, avrebbero continuato a ridere di chi è diverso,  senza specchiarsi, senza capire la propria crudeltà, la propria chiusura mentale. 2015

 

 

 

 

 

 

 

 


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