"Provai in me un profondo stupore
per la possibilità di una tale dimestichezza
con un uccello libero e selvatico,
e la constatazione di questo fatto
mi rese stranamente felice,
come se con ciò si fosse potuto un poco
riparare alla cacciata dall'Eden."
Konrad Lorenz - L'anello di re Salomone
Dopo aver lasciato la periferia, la jeep proseguì per la campagna, percorrendo la strada dissestata.
Si udì il vicino sibilo d'avvertimento di un treno merci, lanciato contro un passaggio a livello. Da lontano rispose il sibilo della sirena di una centrale nucleare, simile al rumore di una enorme falce rugginosa, e in un raggio vasto tutt'attorno mieté l'aria stopposa.
Il fuoristrada arrivò sul limitare d'un campo calvo e si arrestò. Si aprì lo sportello e ne scese un uomo. Andò nel retro dell'autoveicolo, afferrò un ingombrante oggetto ricoperto da un telo nero e con qualche sforzo lo adagiò a terra. All'interno qualcosa di pesante si muoveva.
"Siamo arrivati."
Da dentro provenne uno strano suono. Era come un lamento.
"È venuto il momento."
Il voluminoso contenitore ebbe un sussulto.
"Sta' buono. Non serve a niente agitarsi. Fra poco tutto sarà finito."
Andò a frugare tra la roba del cruscotto. "Ma dove è andata a cacciarsi? Ah, eccola qui." Tirò fuori una piccola scheda. "Bene, c'è messo tutto. Ci vuole solo il luogo e la data della tua dipartita." Li scrisse e ripose la scheda. Si riavvicinò alla misteriosa cosa, prese il telo e ne sollevò un lembo.
"Allora, sei pronto?"
Baluginò un occhio rosso e rotondo. Lentamente scoprì del tutto la capiente gabbia di metallo. Il prigioniero eresse il lungo collo e si guardò intorno. Lui aprì piano la portiera della gabbia e si allontanò. L'occupante rimase immobile all'interno.
"Beh, cosa stai aspettando?"
Il ciconiforme lo fissò e non si mosse. Lui incrociò le braccia e si appoggiò alla fiancata della jeep, sulla quale spiccava una scritta verde: Centro Soccorso Natura.
"Deciditi. Vieni fuori."
Infine, con alcuni timorosi passi, l'airone uscì dalla sua prigione.
"Bravo. E ora fammi vedere se la tua ala è stata curata a dovere, e se è ritornata efficiente come prima."
L'airone rimase immobile, continuando a scrutarlo ora con un occhio ora con l'altro, tuttavia con diminuente diffidenza.
"Forza, ora puoi tornare a volare. Alla faccia di quel primitivo che con una fucilata pensava d'impadronirsi della tua bellezza e della tua libertà."
L'uccello si mosse rassicurato. Il suo istinto gli diceva che non c'era niente da temere. Quell'uomo non era un nemico, come quell'altro che gli aveva sparato. Era un amico, come quelli che lo avevano curato. Anzi avvertiva che quell'uomo aveva qualcosa di simile a sé.
"Su, vola via. Beato te che puoi farlo."
L'uccello gli lanciò un grido. Un verso caratteristico della sua specie. Il verso particolare col quale un airone invita al volo un suo simile. Quindi spiegò le grandi ali e prese la rincorsa.
Lui si mise a correre sulla sua scia, come se fosse stato trascinato da una misteriosa forza. Per un attimo provò persino l'impulso di aprire le braccia e di spiccare un salto verso l'alto, ma si trattenne.
Nel momento in cui l'animale si staccò da terra, l'uomo inciampò e cadde, stramazzando sulle pietre e nella polvere. L'airone s'innalzò nel suo elemento, nella luce e nel vento. Candido, leggero, maestoso. Una lacrima nacque solitaria dall'anima, brillò per un istante, tremò e andò a morire nella polvere. L'uomo rimase immobile, disteso al suolo, fissando il bianco airone che volava sempre più in alto e distante nel cielo, verso il sole.
No, pensò, purtroppo non poteva volare. Lui non era un uccello, né un supereroe, né un angelo. Doveva accettare la sua natura di comune essere umano. Poteva soltanto aiutare gli uccelli a farlo. D'improvviso sorrise.
Forse far volare è di più che volare!
(Racconto già pubblicato da GMC Editore.)
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