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Campo Lungo

Argomento: Poesia

di Ninnj Di Stefano Busą
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Pubblicato il 24/02/2014 10:47:44

Campo Lungo, di Ivan Fedeli, Ed Puntoacapo, 2013

 

                             di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Questa nuova raccolta di Ivan Fedeli si mostra come un’ennesima dichiarazione di poetica, ma forte e chiara, come è nel genere di questo poeta vigoroso e schivo, saldo nei suoi principi e nei suoi progetti letterari.

Il verso dello scrittore in esame è di quelli “presenti”, catapultato nella mischia del mondo, egli osserva, riferisce, si guarda in giro con un senso di sgomento e di rabbia, ma non lascia trapelare il suo disappunto la sua disapprovazione nei confronti del degrado, dell’alienazione, del divario tra gli uomini. Dal suo angolo di osservazione privato egli trova i minimali di una popolazione “assente” (quella dei nomadi, dei diseredati, dei transfughi dalle dittature) proiettata in un frastuono, in uno sconquasso insostenibili: uomini vagolanti, senza direzione, senza certezze, eppure con la fede che contraddistingue le loro povere anime frustrate, deluse, derise, una moltitudine che a dire della nuova società del Duemila non vale niente, quella che non conta, che corrisponde a numeri vaganti, a foglie in balia del vento, disperse e avvilite, senza storia.

Sono discrepanze genetiche, paradossi che ogni poverocristo si trova a reggere senza interruzione di continuità, come a dire:

“così è,  -punto-”.

Una legge della disuguaglianza che colpisce intere etnie, una ferita del progresso, una faglia di devastazione che rende la frattura di un popolo, di tutti i popoli delle diaspore eterni bersagli della miseria cronica, della disertificazione urbana, economica, generazionale.

Ivan Fedeli tratta il filone di questa poetica in maniera sorprendente, li mostra tal quali sono < i martiri della nuova epoca>, non parla di sconfitte, ma di umanità che si trascina stanca per le vie del mondo, quasi calpestata e sempre ignorata, in subordine ad un sistema capitalistico che per loro rimane ai margini, nel rischio di una deriva unversale. Una debacle per la storia e l’esistenza di ognuno che deve registrare la vicenda personale della sopravvivenza come un fatto storico di ordinaria amministrazione.

La loro esclusione resta la grande ferita del secolo: la sorte che si abbatte così ferocemente sulle loro fragilità è quella dei diseredati, dei profughi, degli emarginati.

La loro marginalità però diventa la tragedia dell’umanità intera.

Fedeli tratta con levità il tema dell’emigrazione: l’ostilità, la mancanza di mezzi di sopravvivenza appaiono sfumati, li descrive nelle loro forme di variegata sofferenza, nel dolore dei luoghi di miseria e di alienazione con delicato pudore, senza pronunciamenti altri, senza essere cattedratico, senza moralismi, eppure conosce bene – la grande colpa delle fragilità storiche, le loro inadempienze, il mercato delle ideologie che contrasta con il tema umano della Chiesa evangelica -. Scrive da poeta, si rifà alla necessità che rende marginale ogni rapporto; mette in vista la loro dignità, il decoro, l’adempimento di un’ospitalità necessaria ai fratelli d’oltreoceano.

Mostra forte e chiara la voce segreta che li descrive e nel contempo li estrae dalla miseria morale, dagli antefatti paradossali del potere e del sistema delle uguaglianze e dei diritti. Ivan Fedeli mitiga i toni, si fa portavoce dei diseredati per la parte romantica e poetica di un mix di fragilità epica senza memoria storica: sono i nuovi martiri del Duemila, quelli che lui tratta con ritegno e pudore.

Come è già avvenuto ai tempi della venuta di Cristo con i martiri erranti del Cristianesimo: la nemesi è lì, pronta a testimoniare che l’uomo non cambia, l’uomo è, e resta il peggior risultato di se stesso.

Eppure, il poeta afferma: “credono al mondo ancora/.../ sono gli eroi dal profilo basso”, parole buone per dire il mondo è popolato di fragilità, di debolezza...basta un niente a rompersi a disintegrarsi...l’intero pianeta.

Infrangibili, immutabili restano solo: l’aridità, l’indifferenza, il senso di irresponsabile protervia che spara nel mucchio per autolesionismo, poichè privo di coscienza e di morale cristiani.

 


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