Stavo sulla riva col vecchio,
tra me e me un pesce morto
a pancia in su con una rotonda
capriola di luna spinse la corrente
con la coda fino a tuffare le ali
da una palpebra all’altra del chiarore
di vino rosso al fondo nero
dei nostri occhi in fila:
i miei e quelli di Mieses che come
i suoi versi pareva dipinto con tinta
di stelle, d’alghe, di una pena bianca
che lassù nel cielo non era la luna;
sputavamo semi d’arancia nel fiume,
il suo sorriso era dolce
come quello dell’arcangelo bambina
che voleva essere sirena salata
e non si mangiava le unghie.
Quanto ho amato la cristalleria
sorta da quelle labbra di raggi
doloranti!
Sputavamo parole rotonde
nell’acqua del fiume:
– mi insegnavi a costruire
la statua di me stesso sul tempo.
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