Gianluca era un giovincello dal carattere particolarmente solare. Era benvoluto nel piccolo paese in cui abitava, oltre ad essere ammirato per la sua notevole forza d’animo. Nulla, o quasi, lo scoraggiava: era sempre lì, in prima fila, a capeggiare qualche discorso con gli amici, che lo consideravano, a volte, un po’ stravagante, per le espressioni verbali usate, anche definite pittoresche per l’esagerata vivacità dei contenuti.
Ma lui non se la prendeva. Anzi, sembrava contento per quell’etichetta che gli era stata affibbiata dalla gente che lo considerava “un adorabile idealista”, col quale poter sempre scambiare qualche parola o prendere spunto da quel suo sognare ad occhi aperti, riuscendo a rendere reale ogni suo racconto.
Con qualche piccolo gesto di bontà, specie alla vecchina che abitava sul suo stesso pianerottolo, si era conquistato la simpatia degli altri, facendosi perdonare dai genitori per quei cattivi voti scolastici, presi durante le lezioni.
Nei giochi, però, Gianluca, risultava essere il migliore. Vinceva ogni gara, dalla corsa a piedi, a quella coi sacchi, sino a quella con la bici-cross, scendendo, con spinta incredibile, dalla collinetta di detriti che i muratori avevano lasciato, quando era ancora in costruzione l’edificio dove lui stesso ed i suoi compagni sarebbero andati ad abitare.
I suoi amici non lo invidiavano, perché, a Gianluca, tutto veniva naturale e poi, lui, non si lagnava mai ed era sempre pronto a prendere le difese di chiunque fosse stato preso di mira dagli altri compagni di avventura.
Un bel giorno, mentre stava andando a scuola, incontrò, nel tragitto, un clochard. Era un signore parecchio avanti con l’età, con indosso un cappotto blu scuro ed una sciarpa così grande che gli avvolgeva non solo il collo, ma quasi tutta la testa. Se ne stava seduto sul marciapiede ed accanto a sé teneva una piccola ciotola di metallo: forse, pensò Gianluca, qualche anima gentile gli avrebbe gettato una monetina. Gianluca si fermò, non aveva denaro con sé, ma si ricordò della sua merenda e la offrì, in maniera del tutto spontanea al pover’uomo. Diventarono amici, chiacchierarono del più e del meno per qualche istante, poi, al momento di dividersi il vecchio mendicante gli chiese: “Qual è il tuo segreto?”
“Io non ho segreti”, rispose prontamente Gianluca, meravigliato.
Corse via, più in fretta che poté, s’era fatto tardi e certamente lo attendevano in classe. Per tutto il giorno, continuò a pensare a quell’incontro, cercando di capire a cosa si riferisse quel mendicante, facendogli quella domanda. A ben pensarci, poi, non era neppure riuscito a scorgere bene il viso di quel poveraccio, ma si ricordava il colore degli occhi che erano d’un azzurro denso, infossati in quel volto provato dal tempo.
Il mattino seguente, Gianluca rifece lo stesso percorso del giorno precedente, col preciso intento di andare a cercare il vecchio clochard, per capire meglio il motivo di quella strana domanda. Non appena lo vide, il mendicante abbozzò un ampio sorriso e, scoprendosi il volto nascosto dalla sciarpa, si rivolse al ragazzo: “Mio caro, il tuo segreto io lo conosco perfettamente ed è nel cuore che possiedi. Esso è ricolmo di una tale bontà, da averti condotto alla fonte del tuo stesso bene”. Fissando Gianluca negli occhi, proseguì aggiungendo: “Non avere mai paura di essere gentile e coraggioso, poiché avrò bisogno di te per aiutare i più bisognosi”. D’un tratto, il vecchio svanì nel nulla, dietro ad una fulgida luce che impediva al ragazzo di guardarlo.
Molti anni sono trascorsi ed ora Gianluca si trova in Etiopia. Ogni tanto il pensiero torna a quell’insolito incontro avvenuto quando era ancora un giovane ragazzo. Oggi, lo chiamano Padre e riveste i panni di un missionario, continuando a pensare su come un incontro, apparentemente semplice, abbia potuto, in realtà, trasformare l’intera sua vita.
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