* Trilogia drammatica in terzine di versi endecasillabi, a volte imperfetti, altre perfetti, ma brutti. In generale: poesiole di basso profilo che dicono tutte la stessa cosa.
Pas de chat
Mi trovavo smarrito sotto cieli
grondanti lacrime d’un giugno strano,
in attesa di qualcosa di nuovo
quando la tenera notte benevola
mi concesse la visione sognante
della dama buona che mi salvò.
Apparve meravigliosa, seduta
come gatta impudente accoccolata,
dolcemente distratta da un pensiero.
Nuova Beatrice vestita d’azzurro,
fra capelli d’oriental seta scura,
ecco lì i tuoi occhi-nebbia, Valentina!
La guardai danzare e, bella, sorridere,
e bere birra da bicchieri sporchi
di rosso vin aspro e tabacco secco,
ma non fui capace d’affascinarla
né di parlarle com’avrei voluto
di letteratura e viaggi nel tempo.
Il lesto mattino giunse a dividerci,
così, le sussurrai: adieu, ma belle!
e, disperato, osservai allontanarsi
i malinconici fari dell’auto
come stelle morenti all’orizzonte
offuscate dal sorgere dell’alba.
La fredda aurora portò via con sé
la ballerina nata in riva al lago
e, cullandola, la rese a Morfeo.
Ed io pensavo alle sue magre mani
insonne nel mio letto d’abitudini,
fantasticando un reciproco amore.
Grand Jeté
Indugiava l’estate oltre i vigneti
gremiti di grilli, rane e cicale
che maligni ciarlavan del tuo arrivo.
Sembravi la primavera in ritardo
con il cappellino nero sul capo
mentre guardavi dei fiori sbocciati
ridendo della loro ingenuità
perché già presagivi una tempesta
in arrivo, il cui furor tetro avrebbe
spazzato via lo splendore superbo
di quelle violette, squarciando il velo
che nasconde l’odiosa verità:
che siam nullità gettate nel bello,
che voliam alto solo per cadere
e schiantarci al suolo come Fetonte.
Nel ritaglio di luce trafugata
alla notte, danzammo un lento eterno
circondati da bui boschi di fiaba,
pestandoci i piedi e stonando canti
cui non avrei dovuto prestar fede
poiché, illudendomi, m’ingannarono.
Infatti, alle soglie del giorno, folle
più d’Ulisse, volli azzardare un timido
bacio, goffo all-in d’ogni mia speranza.
Sdegnosa, mi respingesti ghignando,
Dafne inarrivabile, e com’Orfeo
Euridice, io vidi te - mio rimorso -
svanire nella bruma mattutina,
e con Eco vagai tra i prati, certo
d’averti ormai da e per sempre perduta.
Jeté entrelacé
Qui in questa vuota casa, oggi ricordo
le ore trascorse accanto ai tuoi sorrisi
e rivedo, come in fotografia,
i tuoi begli occhi opachi, grigi specchi
in cui scorgevo la riflessa immagine
d’ogni mio tempo passato sprecato
domandandomi: - è sepolto in quell’anima
lo scopo del mio esistere quaggiù?
O altro non è ch’un miraggio, l’ennesimo
tranello tramato dal dio destino
che vuol vedermi come brace spenta
consumato sotto morta cenere?
Ahimè! Non v’è più fiamma in questo cuore,
non v’è calore; freddo come neve,
tristemente ripercorro sentieri
che sto dimenticando e, già lontano,
rimpiango un addio che non otterrò
aspettando treni che vanno al nord.
Perciò dedico a te queste poesie,
Valentina, e ti prego d’accettarle
non come un mediocre dono d’amore
ma come la prova d’un’esistita
felicità preziosa, anche se effimera,
triste emblema d’una mitica età,
spettro d’Eden fiorito per incanto
nell’acre ipocrisia della provincia
e, nel giro d’un’estate, dissoltosi.
Per un attimo la mia vana vita
vinse l’angosciosa Paura, e in quel bacio
osò follemente rendersi eterna.
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