Una fanfara di stelle e come corpo morto cade
questa figlia del cielo lunare
con la rincorsa delle ossa stinta nei polmoni
in un tiro lentissimo che possa escludere gli occhi dal resoconto
e sbiadire a fondo o trasecolare per la certezza dell'abbaglio
quando a fiordi si cosparge il cenacolo delle palpebre
poi sottili mal di testa e nicotina da imballaggio
quali credenziali di un non ritorno alla perpetua concezione:
Io
sono.
Oltre la fonte congenita del nostro pensare
appartengo a nuvole di altri quadranti
e le tue effusioni di spinta concordano per forma
agli abili declini di una stasi
altrove, sezioni i sogni primordiali in vassalli
reticenze alle vie di fatto per poca voglia di ardere
quando il fuoco è condizione di passaggio medievale.
Fosse dipeso da me, avrei scelto il tuo grembo a custodia della lingua
ma già la parola non concorda
e nuziale per la prima notte d'amore non qualifica un credo fuori moda.
Torniamo alle stelle per ingranare misericordia
e mandare a memoria la dottrina dell'oblio.
Così i versi che fanno gli adulatori del destino
si confondano con i richiami delle lupe su in collina.
A valle, si sparge la voce che m'appartengo sempre meno
e ho difficoltà a farmi vivo.
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