Non è per il tuo volto scuro, Riga,
che abbraccerai più stretto il buio,
reliquia d’estrema Europa, fervida
di rimpianti sulle spoglie del vento.
Scorre lo sguardo oltre aspre voci
e bancarelle di biechi mercati,
poche cianfrusaglie fra esauste grida.
Cresta armata di svettante cemento
tu fra candele capovolte e spente
precipita ombra sulle guance glabre
dove fu culto ed impero, mieti ora
lividi bargigli e giunti tramonti,
oblia nome e sorte, breve eccesso.
Questo ti confida il rostro del mare
quando scava banchine, scarno sole.
Ogni giorno scalpiccia, schiude ciglia
di cispose effigi in serale questua,
tetti e nuvole, digiuno e silenzi.
Sciogli il nodo gordiano della storia,
stillane luce e tesa meridiana,
torchia inchiostro dal profilo ricurvo
del gatto che dà ordine al tuo cielo,
fanne erpice nella cantina sorda
del tuo cuore e fuggi, occhio o bufera,
l’alba di ghiaccio astuto giocoliere
dove s’arena il naviglio di tenebre
perché la cava nuca della notte
confonde presto il brivido del tempo.
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