Così mi accogli:
con un estremo lembo di vetro e cemento
vetusti falansteri di regime, scalcinati termitai
fontane di vuoti specchi, aridi rami
strappati ad una primavera in contumacia
acque fangose d’un misero torrente mai fiume.
In anguste vene scorre anche quest’ora
si cancellano i passi lenti sui ponti
la loro sfida al velo del giorno, alla memoria
ed è un angelo nero, opaco
a vegliare sull’eremo dei tetti
a chiedere spazio all’orizzonte - privilegio
di un volo - quando non sa brillare
l’oro delle cupole al confine della sera
e crollano bastioni d’ombra su antichi eroi.
Eppure a questa smorta vigilia ancora
credono le vecchie – profili bizantini
ginocchia nude nei solchi del legno –
e conoscono ogni riflesso delle volte
tra i tardi raggi fendenti le vetrate
difendono ogni tremito di fiamma
da sospiri accorati di preghiera
scandiscono ogni goccia di cera
che affretta il respiro, fa sporgere la lingua
con consueta e rinnovata impazienza
mentre stilla l’ultima candela
e tutto più fioco, più dubbio pare.
E mia, t’accolgo.
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