Alzavamo nuvole di polvere
a finire sotto gli adesivi delle nostre biciclette
che buttavamo a terra col fiatone fino alla fontana
e la collina che ci vedeva faticare
-a me saltava la catena-
e tu ridendo ritornavi indietro.
E come un fulmine arrivare lì
sotto quell'albero annaffiato di promesse
dove io non ebbi mai coraggio
di prenderti la mano e darti un bacio.
E come un fulmine è stato il tempo
sempre troppo più veloce di me
e di quel vecchio mocassino
che indossavo per venire a trovarti
dall'aspetto un po' perduto
perduto nella porta dove calciavo quella palla
-mentre tornavo mezzo scalzo, occhi chiusi,
desideravo tu ci fossi, e ti importasse solo il risultato-
Ricordi, Alìna... ricordi
quando ti dicevo che ci giovava il grano?
Mi accompagnavi al campo
e in un attimo sparivi tra le spighe.
A me sembrava avere immaginato
sognato tu ci fossi mentre ti cercavo
-quanto ti ho cercato-
e quanto hai riso vedendo la mia faccia che faceva finta
di non essere arrabbiata.
La sera urlava i nostri nomi
e si faceva il bagno:
bruciavano le insaponate di mia madre
e le caviglie dalle botte
che prendevo quando la catena non andava.
Bruciavano i momenti in cui mandavo fuori
e le tue risa in mezzo al campo.
Bruciavano quei baci
che non ti ho mai saputo dare.
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