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Il villaggio umano: declino e sconcerto

Argomento: Società

di Giovanni Baldaccini
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Pubblicato il 12/04/2025 18:45:33

 

Sono piuttosto spaventato. Non è vero ma lo affermo.

Mi fanno paura le cose del mondo o, per meglio dire, sono preoccupato per le cose che accadono nel mondo. Dunque, mi preoccupa come va il mondo/cosa in cui oggi viviamo.

Mondo/cosa, ho scritto: che vuol dire? Che il mondo oggi parla un linguaggio che non ha significato. Siamo di fronte a “fatti”. I fatti sono qualcosa che si esau- risce: non hanno prospettiva né rimandano ad “altro”. Nel mondo succedono cose; tutto lì.

Il mondo è allora “cosa” come gli stessi fatti che vi accadono, ma perché quei fatti avvengano, quali le motivazioni che li muovono, cosa si cela dietro un appa- rire non sembra interessare più di tanto. Si riferisce ma non se ne cerca il senso.

Non starò a parlare di Ucraina/Russia/Israele/Iran/Hamas; quella è una preoc- cupazione (paura?) ormai consolidata. Fatti noti, archiviati come tali. Mi preoc- cupa il “fatto nuovo”: l’America di Trump.

L’assalto a Capitol Hill non è bastato per liberarcene. Certo, quattro anni di un anziano signore, dall’intelletto ormai labile, non hanno aiutato. La scelta della Harris, poi, meno che mai, ma ormai era troppo tardi. Sembra sia sempre troppo tardi. Queste però sono chiacchiere; non mi va di fare chiacchiere. Chiacchiera equivale a vuoto e il vuoto genera angoscia.

“L’angoscia, come la noia da cui essa deriva, è ‘l’essenziale impossibilità di una possibile determinazione’. Questo è per Heidegger lo spaesamento assoluto. E dunque ‘tutte le cose e noi stessi naufraghiamo in uno stato di indifferenza’ [...] Le cose, noi stessi, ci si mostrano soltanto nell’atto di scomparire, nell’atto dell’allontanamento. E questo eclissarsi manifesta il nulla’. Infatti, l’inferno della ciarla, la chiacchiera insensata, rivela, nella sua insensatezza, proprio il vuoto che essa vorrebbe nascondere.” (Franco Rella, Miti e figure del moderno, Pratiche Editrice, Parma, 1981, p. 62).

Angoscia, e dunque vuoto, è la parola chiave; contro di essa si ergono le difese egoiche più primitive e resistenti, ma non è questo il luogo per parlarne a fondo. Certo è – almeno ne sono certo io – che gli Americani sono angosciati. Lo sono anche gli Europei, gli Asiatici, i Russi (in parte, essi usano anche altre difese). I Cinesi no: sono troppo “cinesi” per angosciarsi.

Ma torniamo a Trump. Potrei chiedermi: Trump, chi era costui? Potrei rispon- dere: meglio lasciar perdere.

Di Trump non mi fa tanto paura quello che farà, ma quello che tenterà di fare quando si accorgerà di non poter fare quello che vuole. Quello che farà lo ha già detto ed è inutile che io stia a ripeterlo. Quello che farà quando si troverà di fronte ad alcune impossibilità di fare – leggi limiti costituzionali – è tutto da scoprire. Non lo sappiamo, per questo fa paura. Una cosa è però certa: non sarà angosciato. E neppure pentito: uno psicopatico non lo è mai.

Il punto è che quando un narcisista di livello psicopatico incontra limiti al proprio smodato desiderio, viene invaso da rabbie incontrollabili – si veda, ad esempio, l’assalto a Capitol Hill.

Un narcisista non tollera confini. Pretende di esercitare un controllo onnipo- tente sul mondo dato che tutto promana da lui. Privo di confini tra l’Io e l’esterno, si disperde in un vago che deve riempire di contenuti: i suoi. Il Sé Grandioso (Kohut) da cui è dominato non ammette frustrazioni di alcun tipo; se ne incontra, si vendica per ripristinare il controllo illusorio di cui si nutre. Se il Sé Grandioso ha raggiunto livelli psicopatici, la vendetta può essere letale, figurarsi poi se si è in possesso di un certo “armamentario” particolarmente distruttivo.

Chi glielo lascia fare – i suoi seguaci – essendo eminentemente vuoti, per vivere hanno bisogno di identificarsi con una Guida/Guru/ di un qualche tipo. Se si tratta di un esaltato, incline a mentire fino a convincersi che le menzogne che propugna sono vere, chi lo segue è un esaltato come lui. Il 75% degli elettori Americani ha votato Trump; non aggiungo altro.

Musk meriterebbe un discorso a parte, ma di lui penso quello che penso di Trump, forse peggio.

Trump non è l’unica mia preoccupazione: ne ho un’altra che non avrei mai creduto di avere: mi preoccupano le donne.

Era fuori dalla mia capacità di immaginare figurarmi che una donna – e purtroppo molte donne – potessero essere nazional/sovraniste/fasciste o quasi tali. No, questo mi sembrava proprio

impossibile; purtroppo non è così. Non c’è nulla che confligga di più con la figura femminile del modo di pensare fascio/sovranista che oggi domina il mondo maschile.

Che una donna, e dunque una madre, potesse avere inclinazioni retrograde/ maschiliste di questo tipo proprio non me lo ero figurato. Che in tutto il mondo la figura del “Padre” – cioè un principio ordinatore – sia sottoposta a una vasta

opera di demolizione e venga sostituita da marionette rigide guidate da terrori inconsci (prevalentemente paranoia), mi era chiaro da tempo, ma che potesse accadere anche alla “Madre” davvero mi ha colto di sorpresa.

Queste figure, con il loro pensiero rigidamente unico, maschi o femmine che siano, ci portano fuori dal tempo. Un’onda di retrocessione temporale ci avvolge, colorando le nostre case, i media e le nostre istituzioni di padri/madri padroni di antica memoria, di feudalesimo, a volte, direi, con tutta l’arroganza, l’incapacità di ascoltare e la prepotenza che ciò comporta. Quanto alla sinistra, essa oggi somiglia “sinistramente” alla “chiacchiera” di cui ho parlato prima.

Madre, dicevo. Dunque una figura di cura, accoglimento, sicurezza, amore. Un contenitore quieto, un porto certo dove rifugiarsi, una ricarica perenne di certezza... ma quale sicurezza, quale amore può dare una madre di tipo “Trum- piano”? Davvero temo, soltanto una degenerazione di sicurezza, accoglimento, amore. Essa segue “valori” piuttosto “militari”, rigidi, non contrattabili, non dialoganti. Non-valori, allora; ma se parliamo di non-valori, parliamo di una degenerazione dell’amore e dunque della madre: una Madre/Morte, Thanatos, mentre Eros scompare.

André Green diceva che siamo tutti figli di una madre morta; comincio a temere che sia vero.

Una madre di questo tipo non sarà mai portatrice di un “oggetto trasforma- tivo” interiore che permetterà lo sviluppo normale del bambino. Non sarà mai “sufficientemente buona”, come diceva Winnicott. Se ama è un amore conflit- tuale; potrà anche essere “tenero” verso il proprio bambino, ma sarà odio contro chi non è come lei. Inutile dire che il figlio, per essere amato, dovrà esser come lei. Una madre di questo tipo non diventerà un principio interno capace di creare linguaggio, ma continuerà a trasmettere soltanto la sua “estetica” personale che, a mio avviso è tutto meno che relazionale. Essa genererà un linguaggio rigido, unilaterale, muto.

“Col tempo, nelle situazioni normali, l’estetica materna cede alla struttura del linguaggio, e a questo punto l’essere può essere detto [...] Con la parola il bambino ha trovato un nuovo oggetto trasformativo, che facilita la transizione dalla riservatezza profondamente enigmatica alla cultura del villaggio umano. (Bollas, L’ombra dell’oggetto, 1987, p. 44).

Quello di cui ho paura è il “villaggio umano” che si prepara.

A questo punto non mi resta che chiedermi, con MajaKovskij: “Dove si appresterà per me una tana?” Non ne ho la minima idea.


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